Lettera agli amici di Deir Mar Musa, dicembre 2005

 

con un articolo di P. Paolo: « Si sia tutti cardinali »

_____ ________ ____ 28 01 2005_html_m3c6a7565

 

  • La Comunità
    1. Charles de Foucauld
    2. I monaci ed i loro compagni di strada
    3. I collaboratori
    4. Qaryatayn
  • Deir Mar Musa
    1. La biblioteca
    2. Deir al-Hayek, il nuovo ovile e la boutique
    3. Cori
  • Noi ed i nostri vicini: il Vicino Oriente
    1. La Siria
  • I nostri sogni ...
    1. Il Parco
    2. Il cuore simbolico del Parco
    3. Casa editrice
  • Il vostro aiuto ed il nostro grazie
  • “Si sia tutti cardinali!”
    1. Chiesa e democrazia
      1. Elezione del papa e partecipazione del popolo credente
      2. I cardinali e la collegialità episcopale
      3. L’apostolato ed il laicato
    2. Impegno locale e preoccupazione universale
    3. Dei sogni per la Chiesa
  •  

    Carissimi amici, alla fine del 2005, un anno davvero poco banale sotto tutti i punti di vista, la  Comunità monastica del Khalil (l’Amico di Dio, Abramo) desidera di tutto cuore augurarvi una buona e serena festa di Natale ed un anno 2006 del quale per lungo tempo si possa dire ch’era stata una buona annata! Abbiamo da poco celebrato con i nostri amici musulmani la Festa di fine del digiuno del mese di Ramadan, e probabilmente questa lettera vi giungerà in tempo per augurare a tutti una felice festa del Sacrificio d’Abramo (la festa musulmana dell’Adha) a conclusione del grande pellegrinaggio della Mecca.

    La Comunità

    A livello della comunità monastica occorre notare varie cose. Le Costituzioni della Comunità attendono a Roma l’approvazione della Santa Sede dopo un primo giro di osservazioni e risposte. Questo dossier, in effetti, è tutt’uno con quello della discussione teologica in corso sulle idee di P. Paolo a proposito della relazione islamo-cristiana. I grandi cambiamenti romani della primavera del 2005 hanno ritardato le cose ma noi godiamo dell’enorme vantaggio d’avere così un papa personalmente al corrente delle nostre faccende. Chiediamo le preghiere di tutti i nostri amici affinché il nostro cammino di Chiesa si approfondisca nell’impegno e la chiarezza. Si potrebbe presentare il caso d’aver bisogno della vostra testimonianza, soprattutto in quanto credenti, in rapporto al ruolo che la nostra Comunità ha potuto svolgere nel quadro del vostro itinerario di fede, nel mondo d’oggi. In effetti, siamo ad una tappa cruciale di discernimento che condurrà, con l’aiuto di Dio, ad una fondazione consolidata della nostra Comunità. 

    Charles de Foucauld

    La beatificazione, il 13 novembre a Roma, del Padre Charles de Foucauld è stata per noi un segno importante poiché lo consideriamo una delle sorgenti della nostra identità spirituale. In effetti, Louis Massignon, il grande ricercatore nell’ambito della mistica musulmana, è riconosciuto come l’erede più diretto del Fratel Carlo di Gesù, ed è per noi un vero maestro ed un vero ispiratore. Per la beatificazione, i nostri fratelli Jak e Butros hanno fatto il viaggio a Roma dove hanno raggiunto il gruppo dei nostri studenti di teologia, all’Università Gregoriana, Jens, Huda e Jihad. Nel frattempo, qui a Deir Mar Musa, un buon numero d’amici, e tra loro due Piccoli Fratelli di Gesù (congregazione direttamente ispirata dalla spiritualità di de Foucauld), si sono riuniti per pregare in quest’occasione .... Abbiamo così inaugurato l’antenna satellitare per seguire in diretta la cerimonia sul grande schermo della nuova sala (intitolata a Mary Kahil) di Deir al-Hayek. La settimana successiva, le Piccole Sorelle di Gesù radunarono tutti gli interessati a Saydnaya, non lontano da Damasco, per una veglia di celebrazione. La nostra Comunità era ben rappresentata, e tutti abbiamo sentito che il Fratel Carlo si occupa di noi.

    I monaci ed i loro compagni di strada

    Una giovane di Damasco, Khulud, 27 anni, di tradizione familiare bizantina, e che per due anni aveva passato dei lunghi periodi di residenza qui da noi, ha raggiunto il noviziato nel Settembre del 2005. Buona strada!

    Khouloud

    Un giovane contadino, Youssif, di 31 anni, del villaggio arameo di Maalula non lontano di qui, si trova con noi da sei mesi in qualità di postulante.

    Ultimamente abbiamo ricevuto altri due postulanti: Rita, montanara bizantina siriana di 25 anni e Daniel, che ha appena terminato il suo servizio militare. È un maronita di 23 anni che desiderava da alcuni anni di entrare nella Comunità.

    Altre persone, di diverse parti del mondo, s’interessano seriamente alla nostra vita. Pregate per tutti noi!

    Il nostro Federic ha lasciato il noviziato dopo tre anni a Deir Mar Musa. Lo ringraziamo per tutto ciò che ha generosamente fatto per la nostra missione comune (e non si tratta solo delle api), speriamo di poter restare degli ottimi amici e di poter collaborare con la famiglia che, a quanto pare, formerà ben presto con la nostra amica Stephanie, una ricercatrice americana nell’ambito della relazione islamo-cristiana, la quale a sua volta non era rimasta indifferente al fascino di Deir Mar Musa!

    Tim, un inglese di 40 anni, dottore in sociologia, ha trascorso nove mesi in una grotta, rinnovando la tradizione eremitica locale. Scendeva la Domenica per la celebrazione della Messa, passare la giornata con noi e prepararsi delle provviste. A Natale ha interrotto questo tempo d’eremitaggio e riparte alla fine del 2005 per l’Inghilterra. Gli siamo riconoscenti per la sua testimonianza del valore spirituale della solitudine e dell’efficacia della preghiera d’intercessione.

    Un’americana, sulla trentina, vorrebbe prendere il posto nell’eremitaggio, vedremo!

    Izmi, musicista giapponese, dopo alcune settimane passate qui è ripartita per visitare la famiglia, ma lasciando il violino qui in chiesa.

    Quattro francofoni hanno appena concluso il mese di esercizi spirituali: Raphael, 24 anni, riceve il battesimo la notte di Natale, Diane continua il suo percorso di volontaria in qualità di ingegnere agrario, Raymond utilizza bene dell’eremitaggio in cima alla montagna dove aiuta parecchio nei lavori agricoli e Tiphaine ci dà una mano per sei mesi e proseguirà per l’India.

    La nostra amica Guyonne, che tre anni fa aveva vissuto il suo mese di Esercizi, ha passato tutto Giugno a registrare dei colloqui con P. Paolo sia sulla sua storia personale che su quella della Comunità e sulle idee principali del suo impegno. Tutto ciò è diventato un libro che abbiamo rielaborato assieme all’inizio di Ottobre e che sarà pubblicato da Albin Michel (Paris) in Marzo .... Buona lettura a chi sa il Francese.

    I collaboratori

    Il soggiorno della famiglia di Claude, Mathilde e Iona a Qaryatayn s’è terminato. Ciò non ci impedisce di considerare quest’esperienza, di vicinanza con noi d’una giovane famiglia, come positiva. Questo ci spinge a riflettere di più sui ruoli della vita monastica e di quella laica e sulle vie di possibile collaborazione tra persone impegnate nelle stesse priorità. 

    Nel corso del 2006 si terminerà la riuscita collaborazione con le due volontarie: Diane (agricoltura, ambiente e sviluppo sostenibile) ed Eglantine (biblioteca e segretariato internazionale). Quest’esperienza biennale si è rivelata positiva e speriamo d’avere altri candidati che assicurino la successione.

    In questo momento nel quale la maggioranza dei membri della Comunità è impegnata negli studi, la presenza dei volontari e degli impiegati laici locali è letteralmente insostituibile. Bisogna aggiungere che questo ci fa crescere nel desiderio e nella coscienza di volerci associare, religiosi e laici, in una relazione di autentico partenariato centrato su degli obiettivi comuni.

    Il 30 Agosto è nato Aabdo, il figlio di Mihyar, il nostro esperto informatico. È con gioia dunque che ha assunto il nome di Abu (papà di) Aabdo.

    La questione della distribuzione delle nostre forze è per noi scottante, poiché, per un verso, lo sviluppo del flusso delle visite a Deir Mar Musa, che rischia di diventare esponenziale, costituisce un vero problema d’accoglienza ed accompagnamento; e, d’altro canto, non rinunciamo a prevedere delle nuove fondazioni in altri paesi del Mondo musulmano. Fratel Jens sarà in Iran nel mese di Luglio per iniziare a studiare la lingua. P. Paolo sogna d’un anno sabbatico e di mettersi anche lui al Persiano.

    Qaryatayn

    A Qaryatayn i lavori di scavo archeologico si sono un po’ impantanati ma speriamo di riprendere con entusiasmo nell’estate prossima. Nel frattempo abbiamo potuto realizzare l’essenziale dell’ala Est della nuova costruzione. Ha un aspetto piacevole e ben armonizzato con le parti più antiche. Nel Settembre del 2005 abbiamo cominciato a ricostruire la chiesa del 1932, che avevamo in precedenza smontata nel quadro della campagna archeologica del 2004. Le pietre, numerate, ritrovano i loro posti. Marwan Qassis, che se n’occupa, aveva già acquisito una buona esperienza a Deir Mar Musa.

    Dal punto di vista agricolo, sono state praticate delle esperienze in fatto di piante medicinali ed aromatiche. È la boutique di Deir Mar Musa che dovrà provvedere alle vendite... Anche per le olive si avanza di bene in meglio. Il Padre Jak ritiene che non sia fatto abbastanza per favorire lo sviluppo economico della cittadina. Un’importante organizzazione statale di lotta contro la desertificazione collabora con la parrocchia in varie esperienze nell’ambito del miglioramento dei pascoli sui vasti terreni del Monastero di Mar Elian.

    L’evoluzione delle cose ci porta ad immaginare che, a lungo termine, il Monastero di Mar Elian potrà avere un ruolo, in rapporto alla vita monastica, anche più incisivo di quello di Deir Mar Musa, dove il servizio apostolico dell’ospitalità è molto esigente. Senza sapere bene dove questo ci condurrà, fin d’ora la nostra responsabilità a Deir Mar Elian cresce ed il dialogo con il nostro Vescovo, mons. George Kassab, si sviluppa in questo senso.

    Deir Mar Musa

    La biblioteca

    Nell’ambito architettonico della parte antica del monastero si è appena terminata la costruzione della nuova sala di lettura della biblioteca, con un accesso interno al magazzino dei libri. Restano da fare gli scaffali. Dobbiamo qui ringraziare la Fondazione Giorgio Orseri e l’Oeuvre d’Orient per l’aiuto accordato. L’Istituto Francese di Studi Arabi di Damasco è anche benemerito per l’offerta delle sue prestigiose pubblicazioni.

    La biblioteca è oggi un’istituzione in crisi. L’informatica fa sì che l’importanza del libro in quanto oggetto cartaceo non è più ciò che fu nel passato. Le opinioni sul futuro del libro sono piuttosto divergenti. È forse la nostra l’ultima generazione ad aver bisogno di carta? Di fatto stampiamo i nostri email per leggerli a nostro agio; ma i più giovani non lo fanno. Ne discuto con Eglantine, la nostra volontaria francese bibliotecaria. In effetti, possedere dei documenti cartacei concernenti le nostre priorità ed ordinati in modo facilmente consultabile aiuta enormemente la ricerca. Inoltre, una società nella quale ciascuno abbia il suo computer portabile a disposizione (c’è anche chi pensa di farselo innestare come un organo supplementare) in connessione con la rete internet notte e giorno, non pare sia per domani mattina né per tutti. È vero che il libro cartaceo diventa sempre di più un oggetto affettivo, un simbolo, a volte un’opera d’arte, un modo di entrare in contatto con qualcuno ed il suo mondo. In questo senso, quando vi passasse per le mani un libro che pensate possa dirci qualcosa segnalatecelo o, ancora meglio, portatelo con voi in occasione della prossima visita. Non son pochi coloro che già l’han fatto e così la biblioteca diventa, tra l’altro, una memoria dell’amicizia ed in essa un vasto e multiforme campo, tanto semantico che relazionale, è in via di realizzazione. Ciò non c’impedisce di sviluppare la dimensione informatica e, quando avremo più linee telefoniche, la ricerca in internet si affiancherà a quella sugli scaffali ... ricerca che è essa pure in gran parte già informatizzata.

    Deir al-Hayek, il nuovo ovile e la boutique

    Il grande progetto del nuovo Monastero al-Hayek si sviluppa lentamente poiché il nostro gruppo di lavoro si è trovato impegnato su diversi fronti.

    In conseguenza della dichiarazione del Parco abbiamo dovuto spostare il nostro gregge di capre in un nuovo ovile costruito nel luogo del vecchio garage a due chilometri ad Ovest del monastero, non lontano dall’eremitaggio. Un secondo piano è stato aggiunto al garage, con un recinto che ha gloriosamente ereditato del secolare e bellissimo cancello in ferro battuto del convento dei Gesuiti di Homs. Abbiamo comprato alcune capre d’una razza più da latte e tipiche del monte Hermon e speriamo di veder migliorare la produzione casearia.

    Al di sopra del nuovo garage all’Est del monastero, accanto al parking, una boutique è in via d’allestimento ed avrà anche un ruolo di prima accoglienza dei visitatori e specialmente nei periodi di più forte afflusso turistico.

    Deir al-Hayek2005:07:07

    Quanto al Deir al-Hayek siamo al piano dell’antica grotta dell’eremita che costituirà la cappella di questo edificio. C’è una vasta terrazza con un bellissimo portico che farà la gioia dei contemplativi a causa della splendida vista sulla valle. Praticamente tutte le stanze già costruite, una decina, sono occupate quasi in continuazione. È quindi soprattutto a livello delle stanze individuali che occorre sviluppare il progetto, una volta eseguita la posa delle piastrelle della cucina e della sala grande. Secondo il nostro programma, questa costruzione, oltre gli spazi adatti ai membri femminili della Comunità monastica, prevede anche quelli adeguati alle attività spirituali, come per esempio gli Esercizi spirituali, i corsi biblici e teologici ed i seminari di dialogo più approfonditi.

    Cori

    A Cori, residenza dei nostri studenti a Sud di Roma, la grande novità è che Suor Huda ha traslocato nella casa annessa alla chiesa del San Salvatore. Un cordiale grazie è da dirsi qui al Padre Parroco Don Ottaviano ed a tutta la Comunità parrocchiale che ci hanno adottato con un rimarchevole spirito evangelico. Alcuni tra i nostri vicini a Cori ci hanno visitato in Siria e la nostra amicizia cresce. La nostra speranza è che l’Istituto Centrale del Restauro di Roma possa istallare un cantiere didattico nella chiesa di San Salvatore per realizzare il restauro degli interni e della decorazione. Nel frattempo e poco a poco sistemiamo la casa e Sur Huda è ben contenta di poter ricevere delle amiche da lei.

    In Febbraio la novizia Deema la raggiungerà per lo studio della lingua fino all’estate. Dopo i suoi voti (insciallah, in Settembre a Deir Mar Musa) inizierà il corso di studi alla Gregoriana. Il suo ultimo anno di noviziato è stato intenso, con un viaggio-pellegrinaggio alla scoperta d’altre dimensioni del Mondo musulmano e della Chiesa dell’Islam (l’espressione non è mia ma bensì del Patriarca melchita Gregorio Laham all’ultimo Sinodo dei Vescovi a Roma) con Eglantine in Iran ed in Turchia. A Damasco Deema ha passato un mese nella Comunità dell’Arche consacrata al servizio delle persone portatrici d’handicap mentale ed il suo servizio è stato apprezzato.

    Fratel Jihad ha lasciato la Siria per Roma alla fine delle vacanze estive con qualche preoccupazione poiché il papà aveva appena subito un’importante operazione chirurgica. È figlio unico e questo non semplifica le cose. Grazie a Dio ed allo zio la faccenda si risolve e Jihad può dedicarsi più serenamente alla preparazione dei suoi esami.

     

    Noi ed i nostri vicini: il Vicino Oriente

    L’anno che si conclude non ci ha risparmiato quasi niente. L’umanità, oltre aver sofferto di diverse calamità naturali, si è pagata il lusso di vari conflitti più o meno sanguinosi. Nella nostra regione medio orientale siamo tuttora afflitti dalla guerra in Iraq, nostro vicino dell’Est, e da quella, interminabile, israelo-palestinese.  

    In rapporto all’Iraq, siamo partecipi dell’angoscia d’un gran numero di rifugiati che in Siria cercano, specie per i loro figli, un po' di sicurezza. I rifugiati cristiani sono anche più numerosi, in percentuale, che gli altri, poiché il paese sembra orientarsi verso un più forte confessionalismo ed una frammentazione nella quale i cristiani trovano difficilmente un loro spazio di vita ed un ruolo; sono dunque tentati di raggiungere i loro parenti e vicini che li hanno già preceduti nell’emigrazione ai quattro angoli della Terra. Ciò non è sempre facile poiché l’Occidente è ossessionato, non senza ragione, dalla fobia dell’invasione e della perdita d’identità oltre che dall’insicurezza e la disoccupazione.

    Non ci sono solo cattive notizie. Il processo democratico iracheno sembra, nonostante tutto, avviato ed in modo, in fin dei conti, piuttosto dinamico. Ciò che rischia di rovinare tutto, è d’una parte come dall’altra, la logica d’un crudele conflitto tra civiltà ed un gioco perverso nel quale ciascuno vuol profittare del gran momento del cambiamento per spostare le sue pedine il più lontano possibile, non in una logica di giustizia ma in una logica di profitto.

    Certamente, ci sono delle grandi novità. Lo Sciismo arabo trova nella crisi irachena un’enorme occasione di autoaffermazione e di promozione. Il rischio di guerra civile è reale e già attuale. Per il momento sono le forze americane che, paradossalmente, evitano l’inferno generalizzato; seppure, in un certo senso, lo anticipino e lo preparino.

    È interessante notare che la questione che si poneva alla collettività internazionale a partire dagli anni novanta, di fronte al regime genocida e torturatore iracheno, resta intatta fino ad oggi. È la collettività internazionale quella che deve portare la responsabilità di liberare i popoli dai regimi liberticidi e con la partecipazione attiva ed inventiva dei popoli interessati. Non è compito dell’iperpotenza, poiché ciò genera una situazione nella quale la resistenza diventa una necessità ed un dovere storico poiché, ringraziando purtuttavia Iddio d’averci liberati da Saddam attraverso gli americani, dobbiamo assumere la responsabilità di limitare i danni provocati dagli irrefrenabili appetiti imperialisti.(C’è sicuramente un’immensa questione a proposito della scelta dei mezzi di resistenza che possono variare da una nonviolenza puramente politica alla strategia suicida la più orribile). Resta vero che l’evoluzione dello Sciismo iracheno è di grandissima importanza poiché può determinare anche quella del Hezbullah libanese (come di tutta la società sciita libanese) insieme all’evoluzione della Repubblica islamica iraniana offrendo un modello alternativo.

    Per questo occorre iniziare (ma chi ...: i diplomatici, i politici, gli uomini di buona volontà?) a favorire un’evoluzione del Sunnismo iracheno diversa dalla deriva attuale. Occorrerà altresì recuperare, di fronte alla frammentazione particolarista, il discorso nazionale arabo elemento fondamentale d’unità del Paese, specie se correlato ad un’identità di civilizzazione musulmana caratterizzata da un’attitudine “ecumenica”.

    I Curdi, evidentemente, vedono realizzato il loro sogno, col rischio che possano immaginare di far la stessa cosa in Turchia, in Siria ed in Iran. Non è facile domandare ad un popolo di rinunciare a realizzarsi come nazione, ma non vi sarebbe una via diversa da quella del sangue e della separazione etnica per giungervi?

    La collettività internazionale ha tendenza a rifiutare, in nome dello statu quo, i progetti di destabilizzazione e di sconvolgimento di tutta una regione. Sono molti coloro che ritengono che la conquista da parte del popolo curdo dei suoi diritti possa farsi secondo una logica federale tra i quattro paesi interessati. Ciò non impedirà in seguito la realizzazione d’un’intensa interazione tra le quattro regioni a maggioranza curda. Un tale progetto ha l’enorme vantaggio di non spingere, di fronte alla rivendicazione nazionale, le diverse società interessate a confrontarsi violentemente contro la rivendicazione curda fino al limite dell’attitudine genocida, come è stato il caso in Turchia e nell’Iraq di Saddam.

    L’ingresso della Turchia in Europa, l’accordo d’associazione euro-siriano, la pacificazione dell’Iraq in un quadro federale, accompagnata come di rimbalzo da un’evoluzione pluralista della società iraniana (e là, per il momento, siamo ancora al livello dei sogni e degli auguri), potranno infine offrire il quadro d’una risoluzione duratura e positiva di questa questione curda. Naturalmente, ci possono essere delle tentazioni atlantiche nel senso della creazione d’un grande Curdistan filo-occidentale per interrompere l’asse asiatico pan-turco.  Tuttavia ciò si realizzerebbe in un immenso bagno di sangue e non è per nulla acquisito che questo Curdistan resterebbe filo-occidentale... Inoltre si rischierebbe una ripresa del nazionalismo turco ma, questa volta, secondo un’attitudine antioccidentale e, probabilmente, islamista radicale.  

    La situazione libanese ha evoluto rapidamente dopo l’uscita dell’esercito siriano dal territorio del Paese dei cedri. Visto da qui, il Libano sembra allontanarsi. La contiguità geografica e culturale è tuttavia tale che i nostri destini restano profondamente legati. Le strategie di cantonizzazione dei paesi della regione, certamente favorevoli ai programmi sionisti, non potrebbero realizzarsi che nell’ambito d’una balcanizzazione cronica ed una sterilizzazione culturale dell’arabismo in definitiva velenosa. I cristiani arabi perderebbero in questo quadro quasi tutto, con l’eccezione forse d’un cantone maronita. Ciò detto non vorrei d’altrocanto oppormi a qualunque progetto federale. Una volta che le appartenenze comunitarie particolariste sono riconosciute, e si trovano in qualche modo soddisfatte, è più facile ritrovare vie più larghe d’espressione d’unità di civilizzazione. Ciò vale per il Libano ed in modo differente anche per la Siria ed ancora più chiaramente per tutta la regione. Lì pure è opportuno continuare a seguire l’evoluzione dello Sciismo libanese ed in modo particolare del movimento Hezbullah che immagino da un lato combattuto tra un progetto di enclave sciita sud-libanese particolarista o da un progetto d’egemonia sciita sul Libano nel suo insieme come tappa e caso particolare d’un’area sciita nella regione medio-orientale.

    La situazione in Palestina –Israele come da sempre ci tocca. La Palestina, immaginata dal sig. Sharon e, forse, progettata dall’amministrazione degli Stati Uniti, e combattuta dalle frange più radicali del movimento sionista (chiaramente tentato di perseguire un progetto di pulizia etnica per mezzo della deportazione di massa della popolazione palestinese oltre il Giordano), è talmente invivibile che da se stessa mostra di non costituire una soluzione duratura. Non c’è tuttavia alcuna soluzione alternativa a breve termine. È anche per questo motivo che perfino i gruppi palestinesi più radicali (che perseguono ancora un progetto di sradicamento dello Stato  d’Israele) si sono resi disponibili per dei progetti di tregua sebbene fragilissimi.

    Ci sentiamo continuamente divisi tra delle speranze effimere e la tentazione del cinismo di fronte a dei progetti così radicalmente opposti e specularmente incompatibili. Mantengo la speranza di veder cadere un giorno il muro di Sharon come vidi cadere quello di Berlino.

    Nel frattempo occorre operare affinché i bantustan palestinesi siano il più aperti possibile e che le popolazioni arabe d’Israele possano conservare, nonostante il muro, quanto più è possibile le loro relazioni con il resto della loro nazione.

    Nello stesso tempo occorre fare tutto il possibile per aiutare la popolazione ebraica di Israele-Palestina ad uscire dal ghetto culturale nel quale si rinchiudono per poter gradualmente tornare (di qui diciamo a cinquanta, cent’anni) a concepire uno stato binazionale su tutto il territorio di Palestina-Israele coniugato con altre più larghe appartenenze: Comunità Europea allargata, Comunità della Nazione Araba, Comunità Mediterranea ....

    Il tempo, speriamo con il meno sangue versato possibile, dovrebbe (ma nulla è qui automatico ed ogni sviluppo positivo richiede un capitale di generosità, di fedeltà e d’immaginazione enorme) rendere realistica un’evoluzione culturale e dogmatica dei differenti attori (Islam, Arabismo, Sionismo, Giudaesimo, ma anche Occidente laico e non e posizioni delle varie Chiese in relazione alla Terra Santa) affinché possano pensare alcunché alternativo all’impasse attuale ... lì risiede la condizione per passare dalla tregua alla pace.

    La relazione tra Siria ed Israele non è estranea all’evoluzione suddetta. Nessun trattato di pace oggi tra i due paesi potrà garantire l’avvenire, a meno che non s’accompagni d’una forte progressione dell’integrazione culturale, pluralista e dialogale, nella regione. Sarà questo anche il compito dei teologi in modo trasversale alle appartenenze religiose.

    La Siria

    Veniamo dunque a parlare della Siria e della sua evoluzione assai critica in  questo momento. Pensiamo, con una maggioranza dei siriani, che bisogna evitare a qualunque prezzo il bagno di sangue all’irachena. C’è un consenso di cittadini che conserva la fiducia nell’attuale presidenza del paese, quella del Dottor Bachar al-Asad sostenuto da sua moglie che è sensibile, giusta e sincera. In più, i siriani non vogliono rinunciare alla loro dignità nazionale araba ed al ruolo che credono dover svolgere nella regione in un quadro che resta quello d’un consenso anti-imperialista. Infine, i siriani sperano d’ottenere pacificamente e gradualmente la riforma del sistema e del regime per accedere ad una democrazia matura. La cosa peggiore sarebbe, alla libica, di perdere l’autonomia nazionale ed il suo ruolo regionale senza ottenere la democrazia.

    L’evoluzione positiva della Siria non potrà ottenersi che investendo fiducia nell’efficacia d’un largo dialogo con e tra le differenti correnti dell’Islam senza esclusioni né discriminazioni tra pretesi moderati e supposti fondamentalisti.

    La questione non è tanto quella di sapere se bisogna rinunciare o meno ad impegnarsi nella resistenza e nell’opposizione; poiché, senza resistenza, si diventerà rapidamente vassalli delle grandi compagnie petrolifere, degli appetiti strategici e degli obiettivi espansionisti. Senza opposizione, il paese resta ostaggio degli interessi familiari e della feudalizzazione burocratica corrotta più o meno mascherata ideologicamente.

    La vera questione è quella di scegliere attraverso quale tipo di resistenza e quali mezzi d’opposizione si può sperare di traversare il guado senza annegare. Il mezzo principale è quello di operare per la creazione d’un consenso senza esclusioni. La scelta d’una trasparente e vigorosa nonviolenza è riconosciuta da molti come l’unico mezzo efficace. Ciò si farà in dialogo con i democratici del mondo intero e con ciò che resta del sentimento di solidarietà socialista internazionalista come con quanto risorge d’umanismo religioso universale.

    I nostri sogni ...

    Qui a Deir Mar Musa noi proponiamo un seminario di studi per un progetto di parco regionale ecologico e culturale del Golan e dell’Hermon da realizzarsi assieme con i giordani ed i libanesi, ma che, intrapreso diciamo immediatamente per la parte araba, non sarà compiuto che nel quadro della pace con gli israeliani e con la partecipazione dei palestinesi.

    Si tratta di dotarsi d’un’arma culturale e masmediale efficace per abbassare la febbre dell’inimicizia verso la Siria, tanto in Israele che in Occidente. Si tratta, d’altrocanto di lavorare ad una cultura della pace qui in Siria ed all’elaborazione dei concetti necessari alla negoziazione d’un accordo duraturo. Lo slogan: Le frontiere spazio d’incontro e non di conflitto!

    D’altronde, e nella stessa linea, avanza il progetto del Cammino di Abramo a partire da Urfa e Harran in Alta Mesopotamia turca e lungo tutta la Siria (l’Eufrate, Aleppo, Hama, Deir Mar Musa, Damasco) ed attraverso la Giordania fino a Gerusalemme ed a Hebron-Khalil in Terra Santa (www.abrahampath.org). In questo quadro è annunziato ed atteso il passaggio a Deir Mar Musa nei prossimi anni (diciamo gradualmente a partire dal 2008) di centinaia di migliaia di visitatori l’anno ... Ciò richiede un enorme sforzo di previsione e d’organizzazione legato ad un approfondimento della nostra teologia dell’ospitalità.

    I pellegrini saranno di tradizione ebraica, cristiana e musulmana, ma anche d’altre tradizioni e spiritualità nell’ambito del vasto panorama di movimenti trasversali odierni.

    Il Parco

    Si comprende meglio dunque il perché del gran progetto di parco nazionale nella Valle del Monastero. L’impresa è lanciata e la società locale è profondamente implicata. La Commissione ministeriale per il parco (della quale Deir Mar Musa è membro) prevede di già, a valle del Monastero, a circa cinquecento metri di distanza verso Est, la realizzazione d’un vasto visitor centre con un museo ambientale e culturale (degli amici archeologi canadesi se ne occupano, addiopiacendo-insciallah, con successo), un ostello, una struttura per incontri e seminari, laboratori di artigianato, il tutto in un giardino concentrato sulle produzioni agricole tradizionali nella nostra regione. Naturalmente sarà “bio” (olivi, vigna, pistacchi, mandorle, fichi...).

    Il cuore simbolico del Parco

    È importante di chiarire che il Parco della Valle di Deir Mar Musa non è di proprietà del Monastero.

    Esso è di proprietà della società locale e dello stato siriano con i quali il Monastero collabora come partner principale.

    È di grande interesse notare che la Commissione Ministeriale del Parco ha tendenza ad affidare la responsabilità della direzione delle attività di accoglienza alla Comunità monastica con i suoi collaboratori. Ciò detto, resta il fatto che il centro principale di accoglienza è e resterà uno spazio pubblico che appartiene a tutti.

    Ne deriva, a nostro avviso, che questo spazio si dovrà organizzare sulla base di valori culturali condivisi (è noto che nella nostra società locale il culturale è fortemente caratterizzato religiosamente). La cosa non impedisce che ciò si faccia attraverso un largo processo dialogale che riconosca al Monastero, alla Chiesa locale ed alla popolazione cristiana nel suo insieme, il suo ruolo, la sua specificità, le sue capacità di interazione positiva e costruttiva con il contesto che è largamente musulmano.

    Molti dei nostri vicini e visitatori ci hanno rappresentato il loro desiderio di avere un luogo di preghiera musulmano nel quadro di questa realtà sociale costituita dal Parco. Ciò, diciamolo con franchezza, potrebbe facilmente essere realizzato su dei terreni privati, relativamente vicini al monastero, all’ingresso stesso del Parco, senza nessuna consultazione della Comunità monastica e senza alcuna preoccupazione di tener conto dei sentimenti dei cristiani. Decine di casi del genere si verificano nei quartieri cristiani delle nostre città e villaggi e senza necessariamente incontrare la soddisfazione dei nostri parrocchiani.

    Da diversi anni riflettiamo sulla questione. Non è sempre stato facile; si tratta infatti di simboli forti che generano delle reazioni e dei sentimenti altrettanto forti. Una soluzione a tale problematica sarebbe quella di voler sviluppare piuttosto degli spazi laici e privi di connotazione d’appartenenza religiosa... Ma per un Monastero la cosa non sarebbe facile: esso rappresenta infatti uno spazio sacro per tutti e pone immediatamente la questione dell’identità religiosa. In Siria, per una larga maggioranza di persone, questa questione non si pone in modo polemico ma, al contrario e grazie a Dio, in modo più realistico ed orientato nel senso dell’integrazione funzionale reciproca, in una parola dialogale.

    Da ciò nasce il nostro sogno dei sogni: abbiamo tessuto dei contatti sul piano locale per realizzare uno spazio sacro che costituisca il cuore simbolico del “Parco ambientale, culturale e religioso della Valle di Deir Mar Musa”. Si tratta di un giardino più bello e ben curato degli altri, con un bacino d’acqua al centro. In questo spazio saranno erette anche una chiesa ed una moschea: due costruzioni distinte ma non distanti, congiunte da un porticato-oasi con una fontana, un solo progetto architettonico ed una sola scuola decorativa, frutto d’un dialogo in profondità d'artisti siriani e non con teologi e storici dell’arte di questa regione. Ci piace la semplicità dei materiali di questa montagna, un lavoro eseguito da operai ed artigiani locali, e, allo stesso tempo, vogliamo qualcosa di davvero ben fatto e curato, qualcosa che possa durare in testimonianza dello sforzo spirituale della nostra epoca. Perciò ci auguriamo di ricevere delle buone idee da tutto il mondo, poiché le culture in contesto delimitato non esistono più. 

    Questo monumento religioso sarà dedicato all’ospitalità di Abramo. Immaginiamo fin d’ora che la stessa arte musiva potrebbe nella chiesa esprimere iconograficamente, insieme con i misteri centrali della fede cristiana, la storia di Abramo, attraverso una sensibilità fortemente orientata alla cultura arabo-cristiana, in dialogo con il contesto musulmano. Questo stesso duplice monumento esprimerà, nella moschea, attraverso i colori, le forme e le lettere, assieme ai misteri centrali della fede musulmana, il ruolo di Abramo ed il senso universale della sua vocazione.

    Qualche anno fa, vi fu una vasta questione internazionale attorno ad un progetto di costruzione d’una moschea di fronte alla chiesa dell’Annunciazione a Nazaret. Era un progetto polemico alimentato da motivazioni equivoche e con parecchi elementi non chiari anche in alcune reazioni. Quel progetto non fu realizzato benché il rispetto e la devozione musulmani per la Vergine di Nazaret siano sinceri e generosi.

    Qui, nella Valle del Monastero, sogniamo il contrario. Vorremmo poter testimoniare d’una vita comune impostata sulla commensalità: d’uno spazio pubblico dove il sacro sia riconosciuto nella sua pluralità e vi sia cordialmente accettato ed armoniosamente espresso. È importante di dare il giusto valore all’appartenenza alle diverse tradizioni religiose nella loro pluralità, senza cercare di aggirarle in un sincretismo equivoco, irriflesso e kitsch.

    Allo stesso tempo, né la fede cristiana, né la fede musulmana possono arrendersi all’idea d’un’impermeabilità reciproca; e neppure possono cedere alla tentazione d’un assorbimento semplificatorio dell’alterità ed al desiderio puerile d’un futuro senza alterità. Cerchiamo un’armonia dinamica nell’oggi delle nostre appartenenze, carismaticamente aperte ad un futuro sempre più interattivo ed interfunzionale, nel quale le esperienze d’assoluto spirituale universale, veicolato dalle nostre tradizioni, non sono diluite in una palude simbolica, ma, al contrario, interagiscono, attraverso il dialogo della vita e del lavoro in comune, in vista di quel momento metastorico che tutti ci attira e che, a tratti, arriva ad attraversare la scorza del temporale e si rende presente, benché velato, alle nostre esistenze religiose dove si incarna nelle nostre povere fedeltà.

    Allo steso tempo vorremmo renderci disponibili per una larga e sincera accoglienza, anche attraverso il confronto, di quel crescente spazio culturale d’esperienze spirituali partecipate (penso alla galassia New Age ed ai diversi misticismi di radice indiana in salsa postcapitalista globale) che vuol essere semplicemente umano e che, qualche volta, pretendendo ingenuamente di rappresentare un’istanza metareligiosa, cade in un involontario settarismo, non sempre innocente.

    Casa editrice

    A Deir Mar Musa lavoriamo alla realizzazione d’una piccola casa editrice che vorrebbe partecipare al dibattito nazionale e regionale, soprattutto profittando dei testi delle conferenze e dei dibattiti dei nostri seminari. Adib Khuri, un vecchio amico, professore di matematica al liceo e dotato d’una bella curiosità culturale, è venuto ad abitare a Nebek, subito dopo il suo matrimonio. Sarà il motore ed il direttore di questo progetto.

    Abbiamo pubblicato assieme, in arabo, a Damasco, con un nostro commento, gli articoli di Louis Massignon sulla problematica della Terra Santa.

    D’altronde sua moglie Huda, anche lei amica del Monastero da tanti anni, è qui da noi come contabile e segretaria ... Con lei vorremmo lanciare il punto vendita previsto presso il parking nella valle.

     

    Il vostro aiuto ed il nostro grazie

    Gli aiuti che ci inviate ci servono per sviluppare questi diversi progetti al fine di poter continuare ad accogliere gratuitamente, per rispondere ai bisogni dei poveri che si rivolgono al Monastero e per aiutare delle famiglie in bisogno tanto a Nebek che a Qaryatayn. A nostro e loro nome vi ringraziamo qui per iscritto, e nel Signore attraverso la preghiera.

    Alcune organizzazioni che ci hanno aiutato sono state ricordate in altri passaggi della lettera. Un ringraziamento particolare è doveroso qui nei confronti della Fondazione tedesca Hanns Seidel, dedicata al servizio dello sviluppo e della pace, la quale ormai da molti anni ci aiuta per le attività di formazione culturale.

    Il Senato della Repubblica Francese ci ha donato un nuovo generatore di corrente più potente e silenzioso: un immenso aiuto per tutte le nostre attività.

    Anche la Società Total-Damasco ci dà una mano, specie per attività connesse con l’ecologia e si spera di poter fare di più in futuro nell’ambito del parco e della biodiversità 

    Due fondazioni olandesi finanziano una ricerca di dottorato a favore d’una ricercatrice siriana nel campo della vegetazione dei pascoli locali e della razionalizzazione della pastorizia. Evidentemente a tutto vantaggio della nostra attività e dell’intera regione!

    Altre organizzazioni più propriamente ecclesiali, di diverse parti del mondo ci aiutano in modo regolare o più episodico. Non ci sembra qui opportuno pubblicarne la lista. Ma certo è sempre opportuno dire la propria profonda gratitudine per una solidarietà di Chiesa multiforme, amorevole, motivata ed efficace.

     

    La Comunità del Khalil

    Cup

    A titolo d’allegato

    “Si sia tutti cardinali!”

    L’anno 2005 è stato caratterizzato dalla morte del papa Giovanni Paolo II e dall’elezione di Benedetto XVI. L’immensa partecipazione mondiale a questo sacro passaggio di potere ci mostra quanta sia la sete, e non solo nei cattolici praticanti, d’un’autorità spirituale ben radicata nella tradizione, in dialogo con la società contemporanea e capace di interpretare le aspirazioni e le angosce di tantissima gente. Ciò non toglie che l’immenso carisma di Giovanni Paolo II lascia aperto un immenso cantiere ecclesiologico del quale il successore è erede. Questi, noto per essere un grande teologo ed espressione del coagulo neo-tradizionalista cattolico, è probabilmente l’uomo di Chiesa il più capace d’intraprendere un aggiornamento della struttura della Chiesa cattolica in dialogo con le acquisizioni della cultura democratica contemporanea. Ciò è tanto più necessario che, giustamente, tanta gente guarda oggi a Piazza San Pietro con speranza.

    L’anno passato ha costituito per noi tutti un’occasione importante per riflettere a questo servizio d’universale unità spirituale che la Chiesa cattolica si sente in dovere di offrire. L’anno passato è stato anche un momento nel quale si è potuto riflettere sulla struttura della Chiesa domandandosi d’onde viene tale struttura e fino a qual punto è in grado di cambiare, svilupparsi, riformarsi sulla base di nuovi elementi di giudizio antropologici, teologici ed altro. In particolare, la rapidità attuale dell’informazione consente un sistema di consultazione continua e minuziosa che potrebbe in modo fattuale favorire lo sviluppo della comunione nella Chiesa cattolica e la relazione con le altre Comunità cristiane e le altre Tradizioni religiose in un profondo ascolto della gente e dei loro bisogni, anche al di fuori d’ogni appartenenza.

    Vorrei qui attirare l’attenzione sull’istituzione, talmente determinante del cardinalato (cfr. per es.: Cardinal, nella The Catholic Encyclopedia,www.newadvent.org ). L’insieme della stampa mondiale si è interessata a questo individuandovi un impressionante nodo di potere. La struttura è in fondo semplice: il papa fa (“crea”) i cardinali, i cardinali fanno (“eleggono”) il papa e questi fa tutto il resto. Descritta così essa appare come una struttura definibile come chiusa o poco aperta. D’onde viene? Nel Nuovo Testamento e nei primi secoli della Chiesa non vi era nulla di ciò. Ma sì, c’era un Vescovo di Roma, successore di Pietro, morto martire nella capitale dell’Impero romano. Questo vescovo era cosciente, insieme alla sua Chiesa, d’avere un ruolo di presidenza dell’unità della fede e della carità in tutta l’ecumene, cioè nella Chiesa universale (per l’appunto cattolica significa universale ma con una connotazione più teologica che organizzativa). E la Chiesa universale, d’altronde plurale e ricca di riti e tradizioni, gli riconosceva questo servizio.

    Chiesa e democrazia

    Normalmente, ogni Chiesa locale o particolare era dotata di strutture sue proprie, d’istanze sinodali (assembleari) attraverso si organizzava il servizio dell’autorità ed attraverso le quali era assicurata la successione alle diverse sedi episcopali o eparchiali. Roma non faceva eccezione. Vi erano dunque, e vi saranno sempre, degli elementi comuni che denotano un’idea della Chiesa ed una pratica comuni.

    Alcuni dicono che la Chiesa non è mai e non sarà mai una democrazia. È meno vero di ciò che si può pensare. Una vasta maggioranza di cristiani riconosce nella fede che la sorgente dell’autorità nella Chiesa risiede nel suo Cristo e Gesù stesso l’ha affidata ai suoi apostoli che a loro volta l’affidano ai loro successori. È questo il senso di ciò che si chiama la Successione Apostolica sacramentale, e dunque il sacramento dell’ordine. Ciò non significa che il vescovo (successore degli apostoli) d’una Chiesa locale, d’una diocesi, possa essere eletto né che possa governare senza una vera e responsabile partecipazione, sia dei presbiteri e dei diaconi che lo coadiuvano nel governo, sia del popolo cristiano, i laici, compresi i consacrati, che con lui formano l’autentico corpo mistico di Cristo, la sua Chiesa. Il ruolo dei sinodi, delle assemblee, della Chiesa locale è stato sempre decisivo e lo resta anche rispetto all’efficacia d’un’elezione e del governo che ne deriva. Concretamente il modo di eleggere poteva variare alquanto da un luogo ad un altro ma due elementi sono sempre presenti, anche se in forme diverse. Si tratta innanzitutto della successione apostolica, garantita nella collegialità apostolica; e ciò poiché il nuovo vescovo sarà ordinato nel nome dello Spirito di Cristo Buon Pastore. Il secondo elemento è un consenso, un’adesione, un’accoglienza che viene e solo può venire dalla base, dall’assemblea cristiana.

    Questo esercizio ecclesiale di discernimento si è realizzato nel tempo, come abbiamo detto, in modi diversi. Qualche volta è un’assemblea di vescovi che sceglie il nuovo vescovo, il più delle volte dopo una consultazione di preti, diaconi e laici influenti, mettendosi in ascolto dello Spirito (che parla anche attraverso i semplici credenti ed a volte anche attraverso la società civile locale, specie i poveri). Normalmente una delegazione di vescovi lo consacrerà al ministero episcopale nella sua diocesi, e dunque in un contesto d’approvazione e d’accoglienza in assemblea della sua Chiesa. Altre volte sarà piuttosto un’assemblea della Chiesa locale, preti, diaconi e popolo, che proporrà un candidato all’ordinazione episcopale. Domanderà dunque che sia consacrato dai vescovi della regione, che spesso partecipano o assistono all’elezione stessa.

    Elezione del papa e partecipazione del popolo credente

    Per quanto ciò possa apparire strano, l’elezione del vescovo di Roma, il papa, il presidente della comunione universale, è piuttosto, in origine, del secondo tipo chiaramente più democratico. (Nella sua qualità di Patriarca d’Occidente, ci si potrebbe attendere che fosse eletto da un largo sinodo di vescovi, com’Ë il caso per gli altri patriarchi in Oriente. Ebbene non è così.) Per molto tempo dei laici della città di Roma hanno partecipato all’elezione. Nel secondo millennio della Chiesa gli elettori erano sia preti e diaconi di Roma che vescovi, tanto della curia che dei dintorni della città... e sono questi elettori che chiamiamo cardinali. D’altronde, fino ad oggi, i cardinali, in ricordo di questo fatto, sono distribuiti in tre ordini: diaconi, preti e vescovi. Quando qualcuno oggi è “creato” cardinale, di qualunque parte del mondo egli sia, riceve il titolo d’una delle chiese delle parrocchie romane o d’una chiesa cattedrale delle diocesi dei dintorni (diocesi suburbicarie).

    In effetti, quest’istituzione così centrale nella Chiesa non ha mai smesso di evolvere fino a divenire un collegio cardinalizio formato da coloro che, per molto tempo, sono stati chiamati i principi della Chiesa. L’analogia con i regni di questo mondo balza agli occhi. Nessuna meraviglia, infatti il papa era anche, per molti secoli e fino al 1870, il re di un vasto stato nel Centro Italia. D’altro canto, è nell’epoca nella quale l’autorità dello stato si è organizzata, nella maggioranza degli stati europei, in modo totalitario che l’istituzione cardinalizia si è assimilata ad un’oligarchia che assicura continuità e indipendenza al potere pontificio ed in effetti largamente partecipa di tale potere.

    Non è sorprendente vedere che nella Chiesa, a causa della gelosia per il suo ruolo originario e dello zelo per la sua missione universale, la preoccupazione d’indipendenza dai poteri ed interessi secolari, e dunque necessariamente laici, ha condotto ad una sorta di separazione istituzionale tra gerarchia e popolo credente. S’è dovuto attendere il Concilio Vaticano II (1962) per iniziare ad invertire la tendenza in un senso di nuovo partecipativo.

    Mano a mano che i mezzi di comunicazione e di trasporto sono migliorati, il collegio dei cardinali si è ingrandito includendovi i capi delle Chiese delle grandi città italiane, in maggioranza capitali di stati politici, e dei capi delle Chiese delle grandi capitali europee. In seguito alla caduta degli Stati Pontifici nel diciannovesimo secolo, la struttura cardinalizia, con tutta la Chiesa, tende ad una più progressiva e più profonda universalizzazione e di conseguenza ad una progressiva perdita di potere da parte degli italiani che ha finito col permettere l’elezione del papa polacco ed in seguito del papa tedesco ... ma, avrebbe potuto essere argentino o nigeriano o cinese.

    Il fatto che oggi, nella Chiesa latina – che costituisce la grande maggioranza della Chiesa cattolica (poiché occorre ricordare che le Chiese orientali cattoliche mantengono una struttura patriarcale sinodale) – tutti i vescovi siano nominati per le loro diocesi direttamente dal papa, in un modo simile a quello dei prefetti dei dipartimenti francesi, fa sì che non si riesca più a veder bene la differenza sostanziale tra il collegio dei cardinali ed il sinodo dei vescovi ... La differenza che resta è che i cardinali fanno il papa!

    È interessante notare che l’istituzione cardinalizia si trova in una condizione di poca chiarezza teologica. In nessuno dei documenti del Concilio Vaticano II si può trovare una riflessione che spieghi la specificità di questa istituzione, e la stessa cosa vale per il Catechismo della Chiesa Cattolica, redatto in gran parte dal cardinale Ratzinger.

    Questo fatto è tanto più stupefacente che poi, nella pratica della vita della Chiesa, non solo i cardinali precedono gli arcivescovi di qualunque parte del mondo ma perfino, cosa che è sempre stata contestata giustamente dagli orientali, i patriarchi delle Chiese apostoliche orientali.

    Delle due ipotesi l’una: o ci si trova di fronte ad un equivoco ecclesiologico consolidato che fa sì che, per il fatto stesso d’essere elettori del papa, i cardinali, siano essi dell’ordine dei vescovi, dei preti o dei diaconi, debbano passare davanti a tutti; e questo pone una domanda importante, poiché l’ecclesiologia la più ortodossa ci dice che il papa non è un autocrate ma che guida la Chiesa a capo d’un collegio che è quello dei vescovi, suoi fratelli. Oppure, ed è la seconda ipotesi, in questa istituzione cardinalizia si cela una realtà ecclesiologica che bisognerà scoprire, esplicitare e riesprimere.


    I cardinali e la collegialità episcopale

    Quando il papa Benedetto XVI è stato eletto ha esplicitamente dichiarato che era stato eletto da un collegio di centoquaranta vescovi di tutta la Chiesa. Ha così implicitamente sottolineato la dimensione episcopale e sinodale della sua elezione. D’altronde numerosi sono i teologi che pensano che il papa, in quanto presidente della comunione universale, dovrebbe essere eletto dal concilio ecumenico dei vescovi della Chiesa universale o da un collegio, un sinodo, dei loro rappresentanti. Ma non è così.

    Il fatto che oggi i cardinali siano tutti, con delle possibili eccezioni, vescovi, e quasi tutti vescovi di sedi importanti, non cambia nulla all’essenziale della questione. Infatti, all’origine, ed almeno simbolicamente fino ad oggi, è l’assemblea della Chiesa romana, con i preti, i diaconi delle parrocchie della città ed i vescovi delle diocesi dei dintorni, che eleggono il papa. Questo significa che un aspetto essenziale dello spessore ecclesiologico del cardinalato deriva, in definitiva, dalla rappresentatività originaria del popolo cristiano, uomini e donne, della Chiesa locale. Dunque in questo modo si comprende meglio che il primo titolo del papa, il più originario sia quello di Vescovo di Roma.

    Ciò non impedisce in alcun modo, specie oggigiorno, che la dimensione assembleare della Chiesa universale e della collegialità del servizio episcopale non possa e non debba giocare un ruolo centrale nell’elezione del Pastore di tutto il gregge di Cristo.

    L’apostolato ed il laicato

    Fin dalla mia infanzia, sulla base dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, ho udito parlare dell’apostolato dei laici, della partecipazione autentica da parte d’ogni cristiano al mistero di Cristo, con la sua Chiesa, inviato a salvare il mondo (cfr. Lumen Gentium 33). La Chiesa, il Popolo di Dio, è tutta apostolica; e se i vescovi sono i successori degli apostoli, ciò non leva nulla all’apostolicità del popolo cristiano. Si dirà ai cristiani nelle classi di catechismo: siate tutti degli autentici diaconi, gente capace di servire nella carità e la giustizia; siate tutti, in modo sacerdotale, impegnati nella santificazione e consacrazione a Dio del loro contesto di vita; siate tutti apostoli, pastori, responsabili e “sorveglianti”, dunque dei “vescovi”, ciascuno nella sua famiglia, nel suo ambiente e luogo di lavoro, nella sua missione. Partecipate attivamente ed inventivamente alla vita delle vostre comunità ecclesiali e dell’unica comunità della Chiesa cattolica ...”. Allora, perché non dire loro pure: “Siate tutti dei “cardinali”, delle persone capaci di esercitare un servizio di ascolto e di rappresentazione ed insieme di leale collaborazione con la persona eletta per presiedere all’unità della dottrina e della carità. I cardinali dovrebbero essere, e lo sono spesso grazie a Dio, dei modelli per ogni buon cattolico. È d’altronde per questo motivo che sono vestiti di porpora in memoria degli uomini e delle donne martiri della Chiesa di Roma.

    Impegno locale e preoccupazione universale

    Mi sembra che, in radice, l’istituzione cardinalizia sintetizzi, per così dire, un’idea della Chiesa che, rispettando tuttavia il ruolo ed il valore della successione apostolica e del sacerdozio ministeriale sacramentale, sa esprimere (o piuttosto ha saputo esprimere fin dall’origine) il valore  profondo della partecipazione di tutto il clero alla sinodalità, alla dimensione d’assemblea, della Chiesa locale, rappresentando così pure la responsabilità e la comunione efficace con tutto il Popolo di Dio.

    Questo non concerne solo la Chiesa di Roma, la Chiesa dei cardinali e del papa. Al contrario, c’è qui espressa in modo forse più chiaro una dimensione della vita e della costituzione d’ogni Chiesa locale in quanto Popolo di Dio. Il Concilio Vaticano II ne ha sottolineato l’importanza ed il ruolo. L’ha riscoperta e riproposta a tutti i cristiani, mentre le Chiese orientali, che restano istituzionalmente sinodali, hanno in gran parte mantenuto questa originale costituzione lungo tutta la loro storia.

    Un cristiano che abbia scoperto la sua dimensione “cardinalizia” sarà qualcuno che saprà unire, nella sua vita in Cristo, una piena assunzione di responsabilità, tanto istituzionale che carismatico-profetica, con un acuto senso teologico di appartenenza all’assemblea del Popolo di Dio, dove ciascuno ha il suo proprio posto e ruolo e dove la voce di ciascuno è ascoltata, e paradossalmente è tanto più ascoltata quanto più è la voce dei piccoli del Regno, i poveri e gli emarginati (come ad esempio le vedove verso le quali si indirizzava grande attenzione ed ascolto nella Chiesa primitiva degli Atti degli Apostoli).

    Una donna, un uomo cristiano avranno saputo essere “cardinali” quando avranno saputo unire un impegno forte, e motivato nei Vangeli, nella Chiesa locale, mantenendo tuttavia una prospettiva, una visione, un esercizio della comunione, un servizio dell’unità, propriamente universali: saranno universali nel loro luogo di vita particolare tanto quanto avranno saputo essere particolari e pluralisti nell’universale. Mi sembra che se si comprende in modo dinamico il ruolo dei cardinali, relativamente all’assemblea del Popolo di Dio, ne deriverà una capacità rinnovata dei cristiani ad ascoltare, servire, riconoscere, valorizzare, in una parola ad amare, l’insieme, l’assemblea della comunità umana. Infatti, l’assemblea cristiana è in vista dell’unità e dell’armonia della Comunità umana; si consacra al servizio di tale unità e la prefigura.

    Dei sogni per la Chiesa

    Sogno d’una Chiesa universale, in questo senso davvero “cardinalizia”.

    In effetti è in modo piuttosto paradossale che mi esprimo così a partire dall’analogia con l’apostolicità di tutta la Chiesa. Di fatto utilizzo qui quest’espressione senza tuttavia pretendere di proporla come candidata ad una consacrazione lessicale. In un certo senso vorrei, al contrario, demistificare una sacralizzazione probabilmente eccessiva del cardinalato per poterla superare in una riscoperta della sinergia tra tradizione apostolica (veicolata dal sacerdozio ministeriale, il servizio collegiale dell’autorità nella Chiesa e la diaconia di Pietro del papa) e dimensione asssembleare e di responsabilità partecipata del popolo cristiano.

    Sogno una Chiesa nella quale il ruolo del clero sarà sempre al servizio della fioritura primaverile dei carismi profetico, sacerdotale e regale (dove oggi“regale”  è da tradurre con il concetto democratico di partecipazione e di responsabilità politica, ambientale e sociale) del Popolo di Dio sempre radunato attorno alla tavola eucaristica.

    Sogno che la scelta dei diaconi e dei sacerdoti sia davvero l’espressione della relazione di comunione, pienamente adulta e responsabile, tra l’assemblea parrocchiale ed il Vescovo della diocesi che, coadiuvato dal suo presbiterio, rappresenta il servizio dell’autorità di Cristo.

    Sogno d’elezioni episcopali, in ogni parte del mondo, dove vi sia partecipazione efficace del popolo credente e del presbiterio. L’espressione d’una leadership per una diocesi sarà dunque in obbedienza allo Spirito, che parla anche nell’ambiente interculturale ed interreligioso nel quale vivono le Chiese ed al quale sono inviate. Ciò deve essere in armonia con il ruolo della Chiesa regionale o patriarcale e con l’istanza finale rappresentata dalla Santa Sede romana la quale sarà sempre, a Dio piacendo, garanzia d’indipendenza, fedeltà ed universalità delle Chiese locali.

    Sogno che ciò sia vero in tutta la vita della Chiesa; lo credo possibile per tutte le cariche, dalle più locali alle più universali. Penso che i cardinali potranno essere in maggioranza i presidenti delle grandi assemblee episcopali, nazionali e continentali, scelti attraverso la pratica della comunione tra l’autorità locale e quella universale senza mai dimenticare l’ascolto della voce del popolo e del grido degli oppressi.

    Sogno che il prossimo papa sia scelto da dei patriarchi e dei cardinali che, prima di mettersi in viaggio avranno saputo mettersi in attitudine di servizio dello Spirito di Dio che parla nel loro popolo, poiché è in ciò che risiede lo specifico dell’autorità evangelica. Verranno dunque a Roma ed ancora una volta si metteranno in attitudine di ascolto del popolo delle parrocchie e dei quartieri della città delle quali portano i titoli poiché è di questo popolo che sceglieranno il vescovo; infatti questo popolo credente di Roma ha per vocazione d’essere pieno di solidarietà con il servizio spirituale del suo capo spirituale.

    Sono forse solo sogni. Alcuni ritengono che la Chiesa di oggi ritrova un’attitudine paternalista, una preoccupazione clericale di tenere i laici, e dunque radicalmente le donne, ben al di fuori dei luoghi di decisione. In più - e ben che la storia recente della teologia cattolica abbia sottolineato molto il valore della collegialità, della comunione e della sussidiarietà - c’è di che temere una radicalizzazione della centralizzazione romana facilitata dalla rapidità e globalità dei mezzi di comunicazione: nel passato si diceva che Roma era lontana, per dire che si manteneva una certa autonomia ... oggi Roma è dappertutto! Il prossimo papa  sarà eletto probabilmente ancora una volta da un collegio di uomini scelti e nominati dai suoi predecessori: piuttosto dei principi della Chiesa che dei diaconi e dei preti romani, insieme con dei vescovi del Popolo di Dio.

    Numerosi sono tuttavia coloro che vedono, nell’elezione del papa Benedetto XVI, “il papa teologo” - uno degli intellettuali cattolici che ha partecipato a realizzare il Concilio Vaticano II - l’uomo che sarà capace di realizzare dei passi davvero decisivi nell’aggiornamento della struttura della Chiesa, in un’apertura autenticamente teologica ai bisogni, alle miserie, alle aspirazioni ed alle ricchezze dell’umanità di oggi. Forse sarà lui l’uomo che saprà convocare un nuovo concilio infine ecumenico!

    Manteniamo la speranza, poiché i tempi di Dio non sono i nostri. Dipende dalla responsabilità di ciascuno far sì che la Chiesa cattolica non ricada nella malattia settaria e del ripiegamento identitario. C’è sempre una sofferenza del Figlio di Dio nel suo corpo, una chenosi dello Spirito divino nel nostro oggi ecclesiale. Riconosciamolo innanzitutto nelle nostre mancanze e nelle nostre pretese personali e collettive. Tuttavia, infine, noi crediamo nella resurrezione; è il nostro destino di discepoli di Gesù di Nazaret, a partire dall’oggi della nostra storia.

    Conclusione

    Immagino che alcuni si meraviglieranno ch’io abbia messo così assieme la geopolitica medio-orientale con le nostre informazioni in famiglia e con un’avventurosa considerazione ecclesiologica. Abbiamo cercato di trovare nel “cardinale” un modello del credente il quale, interamente radicato nella sua comunità storica locale, nella profondità della sua tradizione e pienamente solidale con essa è tuttavia capace d’una visione universale generosa ed impegnata. Sarà quindi più facile vedere la relazione tra la nostra visione, che nasce dalla missione della Chiesa universale, ed il nostro impegno locale in tutte le sue dimensioni ed aspetti.

    Vorrei dire qui la gratitudine della nostra Comunità verso il nostro vescovo George Kassab, i membri del suo presbiterio ed il popolo dell’eparchia siriaco-cattolica di Homs, Hama e Nebek. Con loro conduciamo un’esperienza d’ascolto, comunione e corresponsabilità che ci fa ben sperare.

    Di nuovo debbo scusarmi perché questa lettera è diventata troppo lunga e troppo personale per essere quella degli amici della nostra Comunità monastica. Sono io, Paolo che l’ha scritta con l’aiuto di Eglantine, ma è l’affetto di tutti i membri della Comunità che vorrei infine esprimervi domandando per ciascuno, in questa festa di Natale un’esperienza personale ed autentica della tenerezza di Dio.

    pPaolo

    Nota: per favore stampate, se è possibile, questa lettera e passatela a coloro che vorrebbero leggerla ma non hanno accesso ad Internet. Inoltre è ovviamente buono di metterla a disposizione via Internet. Non vi meravigliate dunque di riceverla diverse volte ed in diverse lingue!

     

    Italian

    Subjects: