Cari Amici, Care Famiglie,
Questa lettera inizia in un mercoledì di novembre 2003 mentre mi trovo di passaggio per Homs, la città più importante della Siria centrale.
Dopodomani andrò in Libano con Padre Jacques per incontrare i rappresentanti di due fondazioni che ci hanno aiutati nel passato e speriamo possano farlo anche in futuro.
Questo pomeriggio sarò ad Aleppo ospite d'una confraternita mistica musulmana. Romperemo assieme il digiuno verso le cinque e poi ci sarà lo Dhikr (la danza mistica). Il capo della confraternita, Abu l-Huda l-Husayn, è nostro amico; è spesso venuto a Deir Mar Musa per conferenze, seminari ed incontri di preghiera “interreligiosi”. Ci sarà anche un nostro amico comune, il pastore Bishara che è responsabile d’un’opera sociale evangelica-armena ad Aleppo e tra gli amici più cari e sinceri della Comunità di Deir Mar Musa.
Il termine “interreligioso” è da fragilizzare altrimenti porta con sé una connotazione d'invalicabilità che il dialogo solo correggerebbe, creando passerelle e check-point. Perché non parlare di relazione o di dialogo multireligioso in analogia, ad esempio, con il multimedia? Qualcuno parla di dialogo interreligioso nel senso d’un’empatia interidentitaria.
In questo periodo sono abbastanza stabile al monastero anche perché Ramona è impegnata nel mese ignaziano di esercizi spirituali insieme con altre tre persone. Il mese di ritiro - gli Esercizi Ignaziani a Deir Mar Musa - si conferma anno dopo anno come un appuntamento con la grazia, una preziosa occasione d'iniziazione mistica ed esistenziale del sacramento Cristo - Chiesa.
Ad Aleppo visiterò anche la moglie d'un nostro caro amico che aveva passato un anno con noi a Deir Mar Musa e che è morto improvvisamente lasciando tre piccoli. Penso alla morte ed alla nostalgia che sempre l'accompagna
La speranza di accedere alla “vita eterna” basata sulla fede nella resurrezione di Gesù di Nazaret, si coniuga con lo sguardo che poso su me stesso e su tutta questa gente in città e nel mercato. Ben rari sono coloro che rompono il digiuno musulmano. Anche chi non digiuna evita di mangiare e fumare in pubblico. Il mese di Ramadan si avvia al suo culmine la notte del destino nella quale si celebra la discesa della Rivelazione sul Profeta, ma anche su Mosè e Gesù.
Tutta questa gente crede nella vita eterna. Ciò che più mi tocca è il contrasto tra il limite, la fragilità, qualche volta apparentemente la nullità, della persona e questo destino oltremondano infinito. Colà l'infinità non è più spazio - tempo anche se non del tutto altro dallo spazio e dal tempo. Si pensi alla relazione tra l'eternità di Dio ed allo spazio - tempo, relazione di creazione e d’incarnazione... Sono colpito da questo esser degno d'assoluto della persona, e sono rinviato all'istante, all'infinità dell'istante, faccia alla finitezza della durata, fosse pure immaginata come perennità all'infinito!
Ed ecco di nuovo la nostalgia: calore e colore d'affetto dello sguardo posato sul ricordo... Mi accorgo che il mio sguardo è altrettanto affettuoso, nostalgico, anche nel posarsi sul presente, sulla gente, sulle foglie mosse dal saltellare degli uccelli e dalla brezza gentile di questa giornata autunnale...
Riprendo la lettera in dicembre. Il digiuno musulmano è terminato. E` stata una grande grazia per noi l'aver accompagnato la Comunità musulmana in questo “esercizio spirituale”. In particolare i due novizi di primo anno (Dima ventiquatrenne di Homs e Frédéric trentenne savoiardo) si sono impegnati con me nel Ramadan.
Alcuni cristiani ci criticano trovando che lasciamo da parte la pratica dei digiuni tradizionali dei cristiani orientali per adottare le pratiche “altrui”. Questo ci consiglia una certa elasticità interrompendo il digiuno la domenica ed abbreviandolo laddove possa urtare la sensibilità dei “nostri” o ferire la carità.
Resta che, per noi discepoli di Gesù di Nazaret ed alunni di Paolo di Tarso, è costituzionale della nostra identità ecclesiale cristiana il volerci rendere prossimi culturalmente (religiosamente, spiritualmente, ecc.) di coloro verso cui lo Spirito ci spinge. Non si tratta di sottomettersi alle leggi delle religioni dopo essere stati liberati dal giogo di Mosè. Si tratta d'obbedire alla “legge” del Messia che ci chiede di considerare impuro ciò che d’immondo esce dal cuore e non ciò che entra nella bocca per essere digerito nel ventre.
Gesù ha digiunato, lo dicono i Vangeli, poi è stato accusato d'essere un mangione perché privilegiava la commensalità, specie con peccatori e pubblicani, criticando la tradizione legalista farisaica... Eppure ha detto che i discepoli digiuneranno quando sarà levato loro lo sposo.
Il tempo presente è teso tra assenza e presenza, tra digiuno e commensalità. E` dunque costituzionale per la Chiesa di Gesù (è sunna, imitazione - tradizione) d'accompagnare gli uomini nel digiuno e di mettersi a tavola con loro come fece il Figlio dell'Uomo. Paolo richiamerà anche Pietro ad Antiochia al dovere cristiano della commensalità con i Gentili.
Il Ramadan musulmano, alternando digiuno diurno e mensa festiva serale, propone efficacemente una visione nella quale si armonizzano la scuola dell'ascesi (necessaria all'umanizzazione oltre l'istinto ed il bisogno assolutizzato) con la festa eucaristica, capace di solidarietà e di giustizia verso gli affamati e grata a Dio per i doni del creato e per la vita come dono.
Abbiamo ospitato a Deir Mar Musa una ventina di pelligrini per la pace in maggioranza statunitensi riuniti dalla Sufi Way, la “Via Sufi” dei nostri amici Elias e Rabia. E` stata anche l'occasione per riflettere su questo terribile anno.
Nessuno può pretendere d'imporre la sua dottrinella ad un mondo così complesso come il nostro. Penso che solo delle dinamiche reticolari e convergenti possano farci uscire dalle opposizioni ed i contrasti in corso.
Identificare l'Islam ed il mondo musulmano come l'Impero del male e dell'arretratezza è un grave errore dottrinale foriero di grandi dolori per tutti. All'inverso, vedere nell'Occidente esclusivamente la sorgente d'ogni afflizione politica, economica e spirituale è una colpevole ingenuità che produce disperazione e violenza.
La mancanza d’impegno efficace di molte nazioni per la costruzione della sicurezza, la democrazia ed il rispetto dei diritti umani ovunque nel mondo (a cominciare dal diritto all'incolumità fisica, al cibo ed alla salute), privilegiando le alleanze economiche e strategiche con i regimi liberticidi, ha creato lo spazio culturale ed il bisogno storico concreto per l'esercizio dell'imperialismo statunitense.
Non si può tornare indietro, occorre andare verso una collettività mondiale autoresponsabile, solidale, pluralista ed in grado di eliminare i regimi dittatoriali con operazioni di polizia concertate e studiate per essere il meno violente possibile ed il meno pericolose possibile per le popolazioni vittime dei regimi stessi. Probabilmente la gradualità di azioni politiche coerentemente corali, con obiettivi ben espressi e non punitive verso le popolazioni (tutto il contrario delle sanzioni contro l'Iraq degli anni novanta), potrebbero assicurare i risultati migliori. Per ora si tratta di fare delle scelte locali coerenti con una visione globale, praticate nella contradditarietà dell'oggi.
Ci pare che dietro un certo antiamericanismo si celino progetti concorrenti e non alternativi a quello americano. L'alternativa si costruisce non tanto nell'opposizione tra nazioni quanto nella solidarietà culturale, politica ed economica tra i cittadini del mondo. I giovani, specie nel Terzo Mondo a quanto mi è dato di vedere, ragionano molto di più in termini di accesso ai diritti personali e di gruppo (religiosi per esempio) che in termini di individualità nazionale (spesso ereditata dal colonialismo). L'emigrazione anche “aggressiva” è un modo di praticare il diritto fondamentale ad accedere ad una vita umana degna di questo nome...
E` utile forse comunicare qualcosa della nostra riflessione sulla tragedia degli attentati suicidi, chiamati spesso in arabo “operazioni - martirio”.
Dopo l'11/09/01 scrissi una lettera aperta all'Ambasciatore a Damasco degli USA nella quale cercavo di dire, certo non solo a lui, che la strategia degli attentati suicidi è appunto suicida.
A prescindere da ogni considerazione morale, questi attacchi provocano una tale repulsione psicologica nelle opinioni pubbliche mondiali e locali da rendere le popolazioni cieche di fronte agli elementi eventualmente ben fondati degli obbiettivi perseguiti attraverso le azioni terroristiche. Questa repulsione da angoscia aumenta a dismisura quando gli attentati provengono da organizzazioni segrete e globali come al-Qaida e quando non discriminano i civili inermi dai militari o dai responsabili politici ritenuti a torto o a ragione responsabili di crimini o di ingiustizie che si vorrebbero correggere.
Questo naturalmente non giustifica affatto che chi subisce gli attacchi suicidi abbia il diritto di rispondere in modo altrettanto disumano profittando della propria superiorità tattica e tecnologica. Gli obiettori di coscienza israeliani e statunitensi offrono al mondo, anche a quello musulmano certo, degli esempi determinanti per la definizione d’una via alternativa, quella d’un umanesimo globale e transnazionale.
Alcuni analisti fanno utilmente una distinzione tra attentati connessi a problematiche locali e temporali ed attentati espressione di strategie terroriste globali ed apocalittiche. Gli attentati suicidi messi in atto in condizioni locali di oppressione (in Palestina - Israele come in Cecenia o in Srilanka) non sono collegati con le strategie terroriste globali e sono comunque da distinguere da esse. Non si esclude che si possano produrre delle retificazioni, delle solidarietà e delle complicità che vanno dalle mafie ai terrorismi d'ispirazione marxista residuali, fino ai sotterranei dei servizi segreti di sicurezza nazionali.
E` necessario dire che la forte sottolineatura di alcuni autorevoli autori cattolici sull’opportunità ed efficacia dell’attività di intelligence, cioè di spionismo, come alternativa alla “guerra preventiva” ed ai terrorismi praticata dal “bushismo”, sembra ingenuamente ignorare che le spie utilizzano, ed in definitiva, fomentano le aree oscure della criminalità mondiale nelle quali pure il terrorismo vive e prospera. Certo che vanno raccolte tutte le informazioni utili a combattere questi cancri, ma solo la trasparenza politica, finanziaria ed associativa insieme alla democratizzazione globale avranno ragione della palude terrorista.
Chi oggi, irresponsabilmente o colpevolmente, ritiene di poter umiliare il desiderio di democrazia dei popoli, specie dei giovani del Terzo Mondo, paludandosi di colte considerazioni sulla diversità culturale, la particolarità antropologica e l’incapacità morale (specie dei musulmani, ed ancora più se produttori di petrolio, guarda un po’!) dei non occidentali, fa il gioco o partecipa al disegno neocolonialista delle grandi firme finanziarie. Il fatto che a costoro facciano eco i vaniloqui nazionalisti delle penne di regime delle dittature più o meno coronate del Terzo Mondo, non cambia e non giustifica nulla.
La vassallizzazione dell’Iraq (è un esempio ma non l’unico) attraverso le sanzioni degli anni 90, da parte della grande finanza petrolifera con interessi, diretti ed indiretti tanto europei quanto russi ed americani, è stato un vero crimine neocolonialista mal corretto da una guerra assieme neoimperiale ed ingenuamente messianica che solo l’onda emozionale dell’11 settembre ha reso possibile. Ora l’onda sta passando. La guerra, come tutte le guerre, matura i suoi frutti e le sue messi velenose ed i vecchi attori tornano a raccontarci la balla dell’impermeabilità musulmana alla democrazia... E chissà che i “bush” ed i “ben laden” non tornino amici!
Ma torniamo ai suicidi strategici. Si, è vero, c’è una differenza importante tra l’ideologia delirante del terrorismo islamico globale e quella, purtuttavia patologica, che sta dietro agli attentati suicidi in Palestina - Israele o in Iraq o in Cecenia o altrove. Il fatto che vi siano eventuali collegamenti non vanifica la differenza, che che ne dicano il governo israeliano o russo o americano. E` vero che se si trovano le soluzioni concrete e giuste (almeno vivibili) sul piano locale, e se l’autorità di governo torna alle popolazioni locali in decente autonomia, la tensione cade e gli attentati suicidi tendono a scomparire. Penso tuttavia che, sul lungo periodo e nonostante la difficoltà, se il “governo mondiale” si svilupperà nella direzione d’equità e solidarietà nel rispetto ostinato delle diversità e delle speranze plurali, anche l’acqua melmosa e putrida nella quale nuotano i pesci dei terrorismi globali verrà gradualmente a mancare.
In definitiva credo necessario dire, nel mondo musulmano e fuori di esso, che gli attentati suicidi sono una malattia spirituale peggiore della perdità eventuale di territori. Essi infatti rappresentano simbolicamente ed a volte liturgicamente un’assolutizzazione dell’odio che si prolunga fino nell’aldilà, nel mondo di Dio, oltre la morte in orribili paradisi. Si simboleggia, attraverso la scelta di queste strategie, il radicale assoggettamento del valore della persona a quello di mitici valori ed obbiettivi collettivi. Si dichiara il disvalore delle incolumità delle persone, anche dei civili, anche dei bambini (alla fine anche Hamas, a Gaza, ha dovuto far qualcosa per arginare l’ondata di martiri suicidi infantili sotto la pressione della disperazione delle famiglie). Si perde il senso del valore teologico della vita terrena sostituita da paradisi fantastici paragonibili stranamente a quelli consumistici offerti solo in televisione ai poveri della Terra. Si banalizzano morte e sofferenza e si mostrifica il sacrificio.
L’ho detto in arabo e lo ripeto qui: sento rispetto, comprensione per le motivazioni, le intenzioni e gli scopi ultimi di alcune persone che hanno scelto di sacrificarsi in questo modo per un ideale di ristabilimento della giustizia. Ma resta intera la critica spirituale, morale e strategica di tali scelte. Tale critica deve coniugarsi all’impegno per combattere quelle condizioni d’ingiustizia che a quelle scelte fanno da concime e da elemento scatenante.
Un giorno ci sarà una festa grande alla quale parteciperanno bambini diventati grandi e grandi tornati bambini. Sarà una festa su tutta la Terra (Santa, dicono i cristiani, Benedetta, la proclamano i musulmani, Promessa, la sperano gli ebrei), dall’Ermon a Gaza, da Tiberiade al Negev, dal mare al fiume, a Gerusalemme, a Hebron, a Ramalla, a Nazaret... Il muro sarà abbattuto, e non si riconoscerà più il suo posto. Le vie riservate delle colonie saranno viali alberati e i reticolati, siepi fiorite. Ismaele abbraccerà Isacco e questi bagnerà di lacrime il petto del fratello. Si terranno per mano e si siederanno assieme presso la tomba di Abramo dalla quale uscirà come un canto di lode ed un inno di giubilo. Solo la gelosia per la casa del Signore, l’Amico degli uomini, abiterà il cuore di Sara e solo lacrime di gioia solcheranno le gote di Agar. La reciproca ospitalità sarà la legge del Paese. Non si conteranno più i matrimoni misti e nessuno più si straccerà le vesti per gli amori tra giovani di questi e di quelli. I ragazzini giocheranno assieme e nessuno più saprà ripetere insulti, e neppure li comprenderanno, tanto in arabo come in ebraico. Il venerdì ed il sabato saranno un solo Giorno del Signore, inizio d’una settimana di pace di settecentomila anni, coronato d’eternità. A Gedda si sentirà giurare per il Dio di Mosè ed a Tel Aviv per quello di Muhammad. Chi torna dalla Mecca incontrerà chi scende da Gerusalemme e gli abitanti del mondo esclameranno: “Guarda come si amano!” I discepoli del Nazareno si saranno spogliati dell’orgoglio e si saranno messi a servizio dei pelligrini: li accompagneranno lodando Iddio in Spirito e in verità. Le ossa dei suicidi e dei martiri saranno lavate dal perdono, gli omicidi periranno di contrizione e tutti risorgeranno nell’unico abbraccio del Padre.
Il 2003 ci ha provocati ad approfondire la coscienza della nostra vocazione relativamente alla drammatica evoluzione della nostra regione e della comunità mondiale.
In febbraio ci impegnammo in una settimana di digiuno per la pace in Iraq e Palestina.
In giugno organizzammo con la Commissione Europea una conferenza dialogo tra una delegazione del Parlamento Europeo ed una folta rappresentanza di leaders religiosi musulmani su “democrazia parlamentare e prospettiva musulmana”. Ancora una volta apparve chiarissima la sete di vera democrazia del mondo musulmano assieme alla non disponibilità a soggiacere ad un progetto ed un modello globalizzante occidentale di natura neoimperiale.
Di nuovo in settembre organizzammo con l’Ambasciata Britannica un incontro tra ufficiali militari d’un gruppo di studio internazionale ed un insieme di religiosi locali musulmani e cristiani orientali. Il tema era : “Il ruolo delle religioni nella soluzione dei conflitti e la rottura del cerchio della violenza”. Due le impressioni riportate. La prima è che il religioso può essere fonte d’una visione che va al di là dell’interesse temporale e della prospettiva d’una giustizia o ingiustizia mondana e quindi può aprire i cuori ad una disponibilità alla riconciliazione ed al perdono che il “mondo” non conosce. D’altro canto però l’esigenza di giustizia testimoniata dai fedeli religiosi è più drammatica ed assoluta, meno soggetta a prescrizione, più disponibile alla lotta ed al martirio di quella “laica”. Da qui la funzione reciproca auspicabile tra fondamenti religiosi e pragmatismo secolare.
Avevamo anche avuto, in maggio 2003, un gruppo di studio interreligioso su “la lode” che avrebbe dovuto servire per scrivere un articolo d’un’enciclopedia del Corano, ma soprattutto ci ha aiutati a riprendere questo tema rispetto alle preoccupazioni più immediate ed angoscianti per accedere di nuovo a quell'esperienza spirituale che, senza separarsi dalla storia, vuole aprirsi ad orizzonti d'esperienza e relazionalità più profondi e definitivi.
In novembre abbiamo avuto con noi un gruppo di pacifisti sufi americani organizzato dai nostri amici Elias e Rabia. Con loro si è cercato di riflettere sulla situazione culturale e spirituale che viviamo globalmente cercando d'uscire da schemi facili come americanismo ed antiamericanismo. I contatti avuti con i nostri amici religiosi musulmani tanto sunniti che sciiti hanno aiutato ciascuno a tener conto della realtà musulmana al momento di scegliere il proprio ruolo nel concreto odierno.
Noi a Deir Mar Musa siamo politicamente ed evangelicamente contro la guerra e contro le strategie violente perché pensiamo che l'umanità ha ormai i mezzi per riportare la pace e difendere la giustizia in modo non violento, che non vuol dire nella debolezza e nell'idealismo disincarnato e velleitario. A causa dei nostri numerosi contatti, siamo forse in grado più di altri di vedere le ragioni di questi e di quelli e non ci sentiamo chiamati a prender partito e preferiamo piuttosto prender parte a quel ramificato e reticolare movimento di “mondializzazione alternativa” (alternativa a quella finanziaria e militare occidentale) che, in prospettiva, si pone più come progetto correttivo d'una dinamica inarrestabile che come progetto d'un altro mondo concorrente, com'era all'epoca sterile e sanguinosa dei due blocchi capitalista e comunista. Certo non ci sentiamo a casa in un mondo monopolare e vediamo l'importanza dello sviluppo di altri poli (Europa, Cina, Russia, India, mondo latino-americano, mondo turco asiatico, mondo arabo, ecc.). Soprattutto crediamo nella valorizzazione del pluralismo di civiltà ed in particolare siamo impegnati a partecipare in quanto discepoli di Gesù qui in Oriente all'evoluzione del nostro mondo musulmano in dialogo e comunione con l'esperienza cristiana, e ciò con gioia e speranza creative.
Il 24 dicembre 2003 il direttore iraniano della facoltà teologica sciita di Damasco mi ha invitato a tenere una conferenza sul Natale nella moschea della facoltà di fronte ad un centinaio di studenti di varie provenienze geografiche. Fu un incontro davvero benedetto ed aperto all'azione di Dio - Allah il Misericordioso per il bene delle sue creature più preziose e care. Alla fine mi hanno regalato, in un bel pacchetto natalizio, una copia del Nobile Corano ed un piatto di rame con, a sbalzo, la rappresentazione del volto sofferente del Signore Gesù. E dal fondo del cuore m'è venuto da dire: “E` il più bel Natale della mia vita!”.
In comunità leggiamo quotidianamente la Sacra Bibbia da un capo all'altro senza scegliere i testi al fine di lasciarci interpellare anche dall'equilibrio interno del libro in fatto di quantità, ripetizioni, temi dominanti, evoluzioni, contraddizioni, ecc. Negli ultimi mesi abbiamo riletto i libri di Mosè e quello di Giosuè. Devo dire che la lettura di questi testi a partire dalla nostra storia regionale e la contingenza attuale è particolarmente difficile.
E` un fatto che gli USA ed Israele sono alleati in un progetto che produce e provoca terrorismo. In Iraq si è andati con la scusa delle armi di distruzione massiva e non se n'è trovate, mentre Israele ne è produttore e detentore ed avvisa di continuo d'esser pronto a farne uso. In Iraq si è andati a portare la democrazia (c'è solo da sperare che non sia una colossale bugia anche questa come quella delle armi...) ed il governo israeliano di Sharon, il fedelissimo alleato, distrugge ogni possibilità di vita, e non solo democratica, per il popolo palestinese ed in definitiva corrompe alla radice la natura democratica del suo proprio popolo.
Ormai spero di vivere abbastanza a lungo da poter vedere, anzi partecipare, alla caduta del muro di Sharon che mi perseguita in incubi notturni, come ho avuto la gioia di veder cadere il muro di Berlino che aveva angosciato i miei sonni infantili.
Ho più volte chiesto inutilmente che s'organizzasse un incontro tra teologi cristiani in profondo dialogo con l'Ebraismo, specie israeliano, con teologi cristiani in profondo dialogo con l'Islam mediorientale... Di fatto nella Chiesa siamo divisi tra cristiani prosioinisti ed antisionisti. L'accusa superficiale e grave d'antisemitismo e rinnovato olocausto simbolico vola dalla bocca dei primi verso i secondi attraverso i media in modo pericoloso per l'intelligenza della fede e la testimonianza della Chiesa a Gesù, colui che in se stesso ha distrutto il muro dell'odio e della separazione. Ci sono anche e soprattutto motivi religiosi reciproci all'odio ed alla lotta feroce tra israeliani ed arabi in Terra Santa. Non è tuttavia immaginabile un’attitudine cristiana che, per liberarsi dai giusti sensi di colpa del passato, si carichi in solido di colpe nuove.
Il biblico dono divino della Terra di Canaan al Popolo d’Israele dev’essere criticato in radice attraverso una lettura dinamica, profetica e creativa della Bibbia, non contro i figli di Israele ma bensì assieme a loro ed assieme ai musulmani. Si può e si deve criticare per gli stessi motivi la teologizzazione islamica del diritto - dovere di possesso della Terra Santa come conferma escatologica della superiorità e definitività della rivelazione coranica.
Si può tuttavia e si deve accogliere, nel dialogo, la drammatica esigenza religiosa dei due soggetti in lotta e delle due nozioni in asprissimo contrasto poiché il diritto alla Terra è percepito da entrambe come sacro ed irrinunciabile, confutando così le teorie materialistiche della storia e le gnosi disincarnate e senza radici, appunto, nella Terra. Per questo da anni diciamo che la parola “tregua” è quella più adatta alla situazione piuttosto che la parola “pace”, e ciò dato che il sionismo, specie religioso, vuole colonizzare tutta la Terra Santa e che il movimento arabo palestinese, specie religioso, la vuole liberare tutta.
Il guaio è che l’atteggiamento antiislamico, oggi strisciante in Europa ed in America, finisca col trovare una platea simbolica in Terra Santa al desiderio d’onnipotenza finale occidentale attraverso l’esercizio dello strapotere israeliano.
Finché non ci liberiamo dal concetto di alterità come fonte di pericolo e di minaccia per la nostra identità e finché non troviamo nel dialogo e l’armonia plurale il luogo di trasfigurazione della nostra identità, resterà la Terra Santa il testimone tragico e satanico della sterilità spirituale di Ebraesimo, Islam e Cristianesimo. I primi due sono sterilizzati troppo spesso dall’attitudine fondamentalista nella lettura politica dei testi sacri ed il terzo, quando non è anch’esso fondamentalista, è sterile a causa della sua sfiducia politica nell’Evangelo nel quale non sappiamo trovare neppure gli strumenti di valorizzazione delle esigenze ebraiche e musulmane. Tali esigenze (santificazione del mondo attraverso il culto e la giustizia, identificazione e lotta alle idolatrie, sacralità della politica, aspirazione al monoteismo storico e sociale...) sono foriere, una volta fertilizzate da una testimonianza cristiana davvero tale, cioè umile, dialogale e sacrificale, d’una trasfigurazione che trascende tutti. La vita, la Provvidenza ci ha posti da questa parte orientale del muro di Sharon, ma l’esperienza di fede ci conduce a cercare la riconciliazione, a cominciare dal proprio cuore e la propria comunità per farne una Terra Santa accogliente senza trincee, unificata nella comunione e nella giustizia.
Per ora, qui in Siria, ci sforziamo di riuscire nel progetto di fare del monastero un luogo di comunione e riconciliazione. La valle del monastero è sul punto d’essere dichiarata parco nazionale. Sarà un parco dedicato alla salvaguardia dell’ambiente circostante e dell’importante patrimonio culturale. Vale la pena di dire che il valore culturale di Deir Mar Musa è stato meravigliosamente rimesso in valore dal lavoro del cantiere scuola italo-siriano di restauro che ha terminato felicemente le sue attività in settembre, finanziato da un progetto europeo. Sarà però soprattutto un parco spirituale d’educazione alla riconciliazione.
E` nella stessa prospettiva che apertamente proponiamo, ogni volta che ce n’è l’occasione, la creazione d’un parco, assieme nazionale e mondiale, per il Golan e l’Ermon. Le armi non ci restituiranno la Terra. Gli attentati servono a giustificare l’erezione dei muri, il proseguimento dell’occupazione, la pratica imperialista e la realizzazione dei progetti d’espulsione delle popolazioni. Occorre sperimentare una strategia di resistenza creativa sul piano culturale ed in grado d’attivare delle solidarietà mondiali efficaci.
Si tratta, come dico spesso qui a chi ha orecchie per intendere, di vincere le elezioni a Tel Aviv, a Washington e a Bruxelles. Certo, innanzitutto, occorre perseguire la riforma democratica e finanziaria al proprio interno senza aspettare che qualcuno ce la imponga dall’esterno per i suoi propri interessi. Poi si tratta di partecipare a quei movimenti mondiali che potrebbero creare il peso sufficiente sul piano internazionale per trovare infine una soluzione ai nostri problemi regionali. Allora il parco del Golan e dell’Ermon è pensare ad un futuro aperto e pacifico. Vogliamo pensare ai confini come a zone d’incontro immaginando un recupero del territorio nazionale nella prospettiva della pace, della convivenza e della condivisione e non della paura e della separazione. Proponiamo di cominciare a costituire il parco nel territorio siriano libero in collaborazione con il Libano e la Giordania per convincere il mondo che la restituzione del Golan sarà liberante per tutti e a tutti profittevole.
Ho ripreso la scrittura di questa lunga lettera in una stanza d’albergo a Barcellona dove si svolge la sessione del Parlamento Mondiale delle Religioni nel luglio 2004. Mi ci ha invitato Elias anche per lavorare a mettere a punto il progetto chiamato “il sentiero della fiducia; in viaggio con la famiglia d’Abramo”. Si tratta d’un itinerario di viaggio con previste tappe d’incontro interreligioso e programmi educativi per giovani di tutto il mondo che rendono testimonianza della loro volontà di pace, radicata nell’esperienza spirituale, percorrendo il Vicino Oriente dalla Turchia alla Terra Santa, da Harran e Hebron-al-Khalil. Sono affascinato anch’io da questa società - futuro che ribolle di mille stimoli e mille equivoci; sono interpellato da questo bisogno di guida faccia a mille derive. Vorrei riempire il mio diario ed il mio cuore d’altrettanti richiami alla piccolezza, alla valorizzazione del limite e della deficienza.
Diluvia mentre scrivo, è domeniva mattina, Elias è ripartito per Londra. Mercoledì andremo a Manrese e a Montserrat con un gruppo di Gesuiti che si occupano di dialogo interreligioso. E` una pia visita ai luoghi testimoni della vocazione di Sant’Ignazio di Loyola, nostro maestro d’universalità.
Un anno fa, in Siria, circondato dall’affetto dei compagni gesuiti e dei fratelli e sorelle ed amici di Deir Mar Musa, ho pronunciato i miei ultimi voti nella Compagnia di Gesù (dopo ventotto anni dall’ingresso in noviziato!). Parabole, ellissi e cerchi vitali s’intersecano a disegnare diagrammi di sorprendente, provvidenziale ricchezza. Ma se la piccolezza, il limite, l’attimo, la durata nell’apparentemente insignificante, la fedeltà nella ripetitività... se talvolta questo cibo mi è amaro, altro cibo non mi sarà nutriente!
In febbraio, Paolo è passato in Svizzera ed in Francia a visitare degli amici della comunità. Ha così trascorso due giorni con la famiglia di Frédéric, poi assieme sono partiti in Turchia per incontrare degli amici che vivono la stessa spiritualità di relazione islamo-cristiana. Il passaggio a Van è stato il più commuovente e la visita struggente all’Isola della Croce ed alla meravigliosa e rovinata cattedrale armena ci hanno spinto a rinnovare in Asia la nostra consacrazione al servizio dell’armonia islamo-cristiana, nell’amore di Gesù di Nazaret.
In maggio a Roma, per merito dei carissimi Francesca e Mario Peliti, si è svolta la mostra (nientedimeno alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna!) delle foto dell’amico Ivo Saglietti sulla vita a Deir Mar Musa. C’è anche un bellissimo libro con introduzione di Paolo in italiano ed arabo. Esistono le traduzioni francese e presto inglese dell’introduzione. In marzo la mostra si ripeterà, a Dio piacendo, alla Biblioteca Nazionale di Damasco.
Ramona ha scelto di lasciare la comunità. A lei vada la preghiera di sostegno ed intercessione di tutti gli amici di Deir Mar Musa insieme al ringraziamento più sincero per le generosità con la quale ha portato i compiti affiditigli. Ora la linea di vita porta lontano, nella sofferenza reciproca, i sogni che per grazia impareranno ad incarnarsi.
Dima è stata felice del ritorno di Huda nell’estate alla fine del biennio di filosofia alla Gregoriana. In ottobre, Huda ripartirà per il triennio teologico e Dima passerà un mese a Damasco in una comunità per andiccappati mentali, ad imparare tra l’altro a nuotare e forse a camminare sull’acqua!
Boutros termina con umiltà il suo “anno di penitenza” e sarà presto reintegrato a pieno titolo in comunità.
Gihad è tornato da Cori stanco ma trionfante alla fine del suo primo anno italiano. Don Ottaviano l’ha adottato da quando ha visto che anche la lingua latina non resiste al nostro maronita.
Jens prenderà fiato per un anno tra la filosofia e la teologia per dedicarsi a studi connessi con l’Oriente Cristiano e le relazioni interreligiose. Il nonno, senatore berlinese, non crede ai suoi occhi vedendo dal cielo questo nipote appassionarsi agli studi... Veri e propri miracoli!
Frédéric, un trentenne francese, è entrato in noviziato nel luglio 2003, studia arabo con buone speranze. E` il più fedele in comunità ai previsti tempi di ritiro in montagna e ci ha convinti infine a codificare un riposo settimanale comunitario senza il quale l’ospitalità rischia di diventare una schiavitù. Così ora, il martedì, chi visita Deir Mar Musa trova ad accoglierlo gli amici della comunità o gli associati laici e non i suoi membri. L’esperimento sembra riuscito e probabilmente si istituzionalizzerà... Naturalmente delle eccezioni si potranno sempre fare quando la necessità lo imponga o la carità lo consigli!
Da settembre avremo con noi per due anni Diane, una volontaria francese ingegnere agricolo, che viene ad aiutare per il progetto agro-ambientale e per vedere cosa vuole da lei il Signore...
Presto battezzeremo Jona, la bimba di Mathilde e Claude. E` lei in casa la maestra d’inculturazione nell’umile società dell’oasi di Qaryatayn. Pure Sari, il maschietto di Amin e Rula sarà presto “cristiano”. Poi sarà il turno di George, il secondo figlio di Marwan e Marva. Mihyar, geloso, s’affretta a sposarsi!
Abbiamo avuto due incidenti gravi al monastero che hanno coinvolto due nostri collaboratori, Mazin e Elias. Entrambi i “miracolati”, da Mar Musa e dalla chirurgia, ci pongono però drammaticamente di fronte alla nostra fragilità nelle emergenze. Certo la solidarietà delle nostre famiglie ed amici è una vera forma d’assicurazione sociale, anzi è la radice profonda d’ogni forma assicurativa... Comunque dovremo organizzarci meglio anche con l’aiuto delle competenze specifiche di molti di voi.
A Deir Mar Musa la grande sala Mary Kahil (più di centocinquanta posti) è già operativa anche se ci vuole ancora qualche mese di lavoro per terminare il piano. Prevediamo ancora tre anni di lavoro per terminare la costruzione di questo settore del monastero. Le sorelle non hanno però aspettato tanto per andarsi ad istallare nella nuova costruzione.
A Qaryatayn le cose si muovono in modo incoraggiante. Il gruppo archeologico anglo-siriano riprenderà i lavori in agosto. Nel frattempo abbiamo demolito la chiesa pericolante per poter scavare tutto il sito. La ricostruiremo con le stesse pietre un po’ più in là. Padre Jacques ha avuto un anno molto difficile per la salute della sua mamma ed altre difficoltà familiari. Ora va un po’ meglio. Grazie a tutti coloro che lo hanno in vario modo sostenuto.
Adesso siamo molto impegnati come comunità a rivedere le nostre costituzioni sulla base delle osservazioni del Vaticano. E` una bella attività che ci spinge ad approfondire il nostro senso di chiesa secondo il nostro carisma particolare. Nel frattempo avremo anche un seminario interreligioso su “Il riconoscimento dell’alterità”.
Dopo l’estate Paolo sarà impegnato in un approfondito discernimento teologico con la Sede Apostolica Romana riguardo alle sue posizioni nell’ambito del dialogo interreligioso. C’è bisogno delle preghiere e della solidarietà di tutti perché questo momento importante della nostra storia a Deir Mar Musa risulti essere una grande o provvidenziale opportunità di crescita nello Spirito.
A questo proposito vorrei concludere questo libro - lettera agli Amici 2003 - 2004 con qualche considerazione su questo Parlamento Mondiale delle Religioni che si è svolto a Barcellona (7-13 luglio 2004) nell’immenso, fantasioso e futurista Forum in riva al mare.
Cominciamo con i Sikh. Hanno assicurato l’ospitalità a pranzo di tutti i settemila partecipanti in una grande tenda in riva al mare. Si è ricreato l’ambiente sociale caldo e rassicurante dei grandi raduni pellegrinaggio dei Sikh in India. Questi nobili signori con turbante e pugnale e queste eleganti signore in sari ci hanno ricevuti in nome di Dio. Lasciate le scarpe negli scaffali e dopo il lavaggio rituale delle mani abbiamo ricevuto un copricapo bianco e siamo entrati nel tempio. Musica mistica suonata e cantata da diversi gruppi di Sikh di varie parti del mondo si alternano sul palchetto mentre l’anziano guru presiede alla lettura dei testi sacri e benedice. Una bella mostra ed un video descrivono i fondamenti e la vita concreta di questa tradizione. Sull’immensa moquette tutti si siedono a mangiare serviti dai sorridenti e baffuti Sikh. Potrebbe sembrare un’immensa operazione pubblicitaria, un atto di proselitismo gigantesco. Ed invece questa festa sikh, che normalmente si svolge in funzione della riaggregazione identitaria degli adepti, dell’iniziazione dei giovani e della catechesi dei piccoli, ecco che qui, a Barcellona, finisce col fungere da processo iniziatico alla religiosità mondiale, alla spiritualità globale. Siamo eucaristicamente a mensa con gente d’ogniddove e d’ogni credo, d’ogni esperienza e d’ogni appartenenza!
Proprio la messa a disposizione, a servizio, della particolarità sikh, suggerisce l’adesione ad una comunità spirituale umana universale multiforme e plurale nella sua ricchezza politradizionale. Accanto a me, c’è una monaca buddista australiana, di là siede un pastore protestante cinese, appresso un musulmano indiano, un ebreo giapponese ed una “pagana” francese; segue una cattolica indiana ed un indù californiano... Certo che in alcuni casi sembra che si cada nel ridicolo, ma con tanto ridicolo talvolta colpevole a casa nostra, è meglio sorridere benevoli del ridicolo universale. Uscendo trovo un anziano piccolo signore sikh con il suo bel turbante ed il suo sorriso affabile. Sta spolverando le scarpe di tutti quei mendicanti d’Assoluto. La tenerezza m’ha abbracciato: il mio Gesù era lì a spolverare scarpe. Un altro quadretto: la proiezione del film sulla Beata Madre Teresa di Calcutta. Si è riprodotto a Barcellona l’ambiente dei funerali di Stato in India... Quella donnetta albanese portata sullo stesso affusto di cannone che aveva trasportato Gandhi e Nehru... E la gente di tutte le tradizioni chiedevano ed ottenevano benedizione. Lacrime sono corse ad irrigare le labbra che tremanti ripetono le giaculatorie d’ogni scuola: funerale del mio Gesù nuovamente incarnato per la consolazione di tutti noi poveri cristi.
Il cinese buddista ha parlato delle religioni come fiori d’un solo giardino... contemporanei, diversi e pur simili... La “probabilità” è che l’attitudine, la scelta e l’essenza di Cristo nella quale sono stato battezzato ed alla quale egli mi ha chiamato, abbiano qualcosa da dire e da fare per l’umanizzazione... la salvezza. Tale probabilità diventa umile certezza della fede nell’atto di autooblazione creativa e partecipativa dell’intenzione divina manifestata e realizzata in Gesù di Nazaret. Oggi la questione è forse morale: amore dei nemici? No, è innanzitutto teologica: Egli è figlio di Dio. Donato, sacrificato e risorto vivente nel corpo dei suoi, per tutti e ciascuno. Gesù - metazu, mediatore, wasit, per un Regno che è ora, ed oltre, benoltre! (Qui ho sentito parlare dell’Induismo come d’un “monoteismo poliforme”. Non si finisce mai d’imparare!)
Qui al Parlamento Mondiale delle Religioni sono venuto anche per rimettere in situazione universale il discernimento dogmatico in corso a Roma sulle mie posizioni. Sono sereno e fiducioso. La linea di fedeltà e di verità della mia vita è nel discepolato a Gesù, nell’adesione al mistero del suo corpo, la Chiesa e nella relazione di amore veritiero e nella verità per l’Islam, la Umma di Muhammad.
Ho già detto che la prossima volta lo si potrà chiamare il “Parlamento della Religione Mondiale”, nel senso di privilegiare il ruolo della funzione religiosa e della dimensione spirituale nella società globale. Qui è nel senso della religione in quanto attitudine umana fondamentale e non nel plurale diversificarsi culturale.
Questa dimensione globale, dove evidentemente si privilegia ciò che è comune in fatto di esperienza trascendentale e di morale, non mi separa dalla mia via, dalla mia linea di fedeltà ma anzi mi rinvia ad essa, senza angoscie identitarie e senza atteggiamenti autodistruttivi. Non c’è bisogno di fare gerarchie né di giudicare questi e quelli e non è neanche vietato ragionare nel più o meno grande valore per me, e per il mondo, dal mio punto di vista, di questi e di quelli.
Ci sono io, un atomo di tempo nell’infinità della durata evolutiva, per giudicare. Eppure nella fede è insita un’esperienza d’assolutezza, d’essere in qualche modo in rapporto essenziale con il nocciolo di senso, d’essere, di spazio e di tempo come occasione relazionale... Per me, per la mia tradizione (parlando politically correct nel religioso globale), tale esperienza d’assoluto resta radicata, ed oggi ancora di più in Gesù morto e risorto, vivo per lo Spirito... E` diminuita l’ossessione identitaria, è diminuito il bisogno di sistematizzare. Il desiderio di testimoniare e convincere s’è purificato. Ora posso parlare della mia fede cristiana serenamente, come se fossi in punto di morte, già “confessato e comunicato”. La tolleranza ed il pluralismo cordiali non sono strattagemmi ma convinzioni aperte e disponibili a crescere. Con esse mi cresce dentro Gesù... Che ci posso fare? Perché in qualche modo m’imbarazza? Forse perché, nel loro complesso, le Chiese non offrono al mondo un panorama di pieno e convinto rispetto delle tradizioni altrui. Forse pure è perché, per tanti versi, vorrei la Chiesa diversa da com’è, specie riguardo agli esclusi, gli ultimi, e poi riguardo alle donne ed infine riguardo agli altri credenti, specie i figli d’Abramo, e per me in modo particolare nei confronti dell’Islam. Intendiamoci sono anche fiero della Chiesa per tante cose belle lungo tutta la sua storia. Ma è come se a volte le nostre Chiese si rassegnassero a non andare al fondo del mistero in esse seminato, e che solo germoglia e cresce attraverso il contatto dialogico profondo con le tradizioni religiose: nell’ascolto, la valorizzazione, la critica costruttiva ed il perdono reciproco ed infine, guidati dallo Spirito del Risorto, nella sintesi, la reciproca interazione ed integrazione. Per la Chiesa cattolica avere mille volti è normale, è costituzionale, è relativo alla sua identità più intima. Ciò non le impedisce di sapersi relazionare onestamente e con cordialità non solo diplomatica da religione a religione. Ma questo non la risolve o limita. Certo le altre tradizioni, e penso subito all’Islam, hanno anch’esse i loro moduli d’universalizzazione. Allora cominceremo assieme, nella storia, in pace e rispetto; e lo Spirito di Dio ci modulerà secondo il beneplacito divino, quando e come vorrà.
Alcuni giorni fa, c’eravamo riuniti in una sala al mattino per una seduta di canto mistico musulmano, dhikr sufi, e la guida musulmana, lo shaykh, non è venuto. Che fare? C’era lì una scatola di cartone, una ragazza aveva un tamburello. Elias ed io abbiamo cominciato a ritmare “Allah, Allah”... E` stato come un maremoto, un’onda è salita e ci ha travolti. Se parlo, perché parlo? E se taccio, perché taccio? L’esperienza è ancora lì, nella pancia... Non so dire. Forma musulmana ed essenza cristiana? Forse, ma è troppo poco e troppo paternalista! Non so esprimermi meglio che secondo il modulo sponsale, matrimoniale, d’amore, non d’interesse! M’è parso d’intendere meglio il ruolo, la grazia del mio sacerdozio, di quello di Cristo, di quello dei suoi discepoli: mediazione, intercessione sacrificale, ed anche ascolto, comunione, gratitudine. Allah Haqq, “Dio è Verità - Giustizia”. Quando la grande onda è tornata al mare ci siamo alzati ed abbiamo ripreso il cammino, ma ancora zuppi!
Stasera si è rischiato di non poter entrare nell’auditorio per la conclusione del Parlamento. Mi sono innervosito, sono stato infantile, rivendicativo, ridicolo, alla mia età poi! Un ragazzo indiano m’ha detto: “E` da dieci minuti che t’osservo... Faresti meglio a calmarti!” Mi sono tornati in mente dei terribili momenti di perdita di controllo nei mesi e negli anni scorsi. Bella testimonianza la mia! E così la cosa si conclude in modo penitenziale chiedendo agli altri quel perdono che in Gesù vorrei loro offrire. Bello no? Forse se accogliamo, o Dio, il tuo perdono, ci capiremo meglio e ti capiremo di più.
Cari amici, speriamo che questa lettera vi piaccia. Mandateci commenti! Se volete stampatela e distribuitela a chi pensate possa apprezzarla specie tra coloro che non hanno l’e-mail e che vorrebbero avere nostre notizie (dopo il disastro della lettera del 2000 arrivata nel 2003, abbiamo rinunciato a distribuire una copia cartacea).
E` nostro dovere chiedervi aiuto. Il Monastero non avrà un facile 2005 se le cose continuano così! Alcune organizzazioni rimandano i loro impegni o rinunciano a collaborare. La testimonianza della nostra Comunità è d’attualità ma non tanto di moda! In Siria c’è vera povertà. Essa tocca spesso anche persone della classe media ed istruita. I posti di lavoro diminuiscono ed il costo della vita aumenta. Molti poveri si rivolgono a noi. Se non vanno via a mani vuote è per vostro merito.
La riconoscenza è una strana malattia... Mi capita spesso di pensare, specie durante la Messa e la meditazione, ma anche nei momenti più banali della giornata, a coloro che ci aiutano. Mi tornano in mente i volti di coloro che ci hanno aiutati negli anni ottanta, vent’anni fa, quando tutto era vera follia. Un torrente d’affetto m’inonda l’anima e si trasforma in povera preghiera per loro, le loro famiglie, le loro attività, i loro cari e, soprattutto, per la loro crescita e gioia nello Spirito! Ciao e grazie.
La Comunità del Khalil