Chiesa islamo-cristiana
Sulla base d'un articolo nella rivista Jesus di luglio 2003. Lettori hanno domandato una spiegazione più profonda di alcuni termini nell'articolo.
(visualizzare l'articolo di Jesus).
Inizierò con semplicità e trasparenza a spiegarmi riguardo all’espressione “Chiesa islamo-cristiana” la quale è alla radice dell’espressione “monastero islamo-cristiano” ben criticabile se malintesa.
Le considerazioni che seguono riguardano più immediatamente la teologia della missione che quella del dialogo.
Gesù di Nazaret, Cristo di Dio, unigenito del Padre ed unico figlio della Vergine Maria, Madre di Dio, ha posto l’atto divino della salvezza, nella forma dell’atto umano dell’obbedienza, fondando la possibilità d’una vera comunione con Dio per ogni persona, dall’alba dell’umano e fino al secolo dei secoli. Attraverso di lui e per mezzo di lui riceviamo lo Spirito Santo che testimonia e realizza in noi la nostra figliolanza adottiva da Dio e grida dal più profondo di noi stessi Abbà, Padre! Nessuno di coloro che sono stati creati ad immagine di Dio, in qualunque tempo e condizione, è escluso dalla grazia della salvezza operata dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo nella comunione dell’ineffabile ed assoluta trascendenza dell’unicità ed unità divina.
A noi, non per nostro merito, è toccata la grazia di conoscere questo mistero nel concreto della nostra esistenza nella storia di questo mondo, e di esservi introdotti efficacemente attraverso i sacramenti salvifici della santa Chiesa, corpo mistico del Cristo. Questa stessa Chiesa, Gerusalemme nuova, vedrà affluire verso il suo Cristo, nuovo tempio, gente d’ogni tribù, popoli e nazioni; ed in lei, come in lui, non vi è più giudeo o greco, libero o schiavo, uomo o donna. Il mistero del Regno eterno di Dio, in vista del quale ogni persona umana è stata creata, non è separabile dal mistero della santa Chiesa la quale, vero Paradiso, accoglie tutti gli eletti, figli e figlie di Dio, lavandoli nell’acqua e nel sangue che sgorgano dal costato ferito dell’Agnello immolato e li introduce nella delizia dell’eterna divina comunione.
Nell’epoca apostolica lo Spirito Santo mostrò alla Chiesa che, anche nella storia, e non solo nella metastoria, l’incorporazione al corpo mistico non avviene attraverso un’affiliazione carnale al popolo d’Israele ed alla nazione dei Giudei, dalla quale, tuttavia, viene il Cristo e la salvezza. Sicché la circoncisione non è più la porta e l’espressione dell’elezione divina ma bensì lo sono la fede ed il lavacro battesimale.
La Chiesa si stabilì dunque in un esemplare e lodevole pluralismo tanto in Oriente che in Occidente sforzandosi di ripetere ovunque, ed a vantaggio di tutti, la dinamica salvifica del mistero dell’incarnazione, assumendo ed interpretando con ardita intelligenza spirituale e purificando gradualmente le culture dei popoli evangelizzati e mettendosi in ascolto dell’opera profetica dello Spirito Santo che ovunque ed in molti modi sempre prepara il tempo dell’incontro maturo delle persone con il loro Signore e Salvatore attraverso il suo corpo che è la Chiesa.
Dalla grande e divina lezione biblica apprendiamo che lo Spirito di Dio, attingendo ai futuri meriti di Cristo, agisce, come per gradi ed attraverso simboli, per elevare e purificare l’umanità caduta nel peccato e per renderla capace di riconoscere ed accogliere il Signore che la trasformerà in mistica sposa della sua divinità.
Con pietà, sacrificio e sagacia spirituale la Chiesa seppe incarnare nuovamente la sua fede in Cristo Salvatore nei simboli e nella lingua, nella cultura e nella storia dei popoli e delle nazioni evangelizzate obbedendo all’azione dello Spirito Santo che sempre e da sempre la precede preparando non solo i cuori ma la cultura stessa dei popoli che vengono alla fede. Per questo, dal punto di vista della nostra fede, ci è impossibile vedere la fede cristiana come una tra le molte fedi, pur avendo imparato troppo tardi a praticare un sincero rispetto ed una cordiale considerazione della fede altrui.
La nostra fede ci domanda di cooperare all’opera dello Spirito di Cristo che chiama ogni fede ad una finale purificazione e trasfigurazione in lui, e ciò al di là ed attraverso le contraddizioni della lettera delle culture umane verso lo sbocciare delle gemme dello Spirito. La religione, considerata come un aspetto essenziale delle culture, è come tale da evangelizzare. Non è infatti cristiano il considerare le religioni come dei sistemi chiusi ed impermeabili, capaci d’interagire solo in un dialogo sociale e diplomatico.
Certo si dovrà sinceramente rispettare l’autocoscienza cultural-religiosa di quelle che ci siamo abituati a chiamare “religioni”. Effettivamente il “Giudaesimo” è oggi un complesso cultural-religioso dinamicamente sistematizzato e cosciente di formare una “religione”. Non solo, tale sistema è conscio di riguardare in modo decisivo l’esito finale del cammino religioso di tutta l’umanità. È poi un fatto che, dall’epoca della prima Chiesa Giudeo-Cristiana e fino ad oggi, attraverso gravissime sofferenze, è maturata la coscienza reciproca, giudea e cristiana, che i “destini” del cristianesimo e del giudaesimo sono misteriosamente legati al mistero del Messia che viene. (E per destino si intende qui la linea provvidenziale ed il telos divino).
L’Islam è conscio di formare una Umma, una Nazione o Comunità, rilevante per il futuro escatologico dell’itinerario religioso dell’umanità. La difficile storia, i simboli biblici, la spiritualità correlata con quella dei cristiani e dei giudei e la cultura di fondo, in gran parte comune, fanno sì che il destino dell’Islam e quello delle Chiese Cristiane siano correlati ed interrelati in un modo non ignorabile.
Sembra evidente, e la Chiesa Cattolica del Concilio Vaticano II lo ha esplicitamente e coscientemente assunto, che il ritardo della Parusia crea una situazione di contemporaneità significativa e provvidenziale delle “religioni”. È ruolo dell’arte umana, e per noi cristiana, del dialogo di gestire questa contemporaneità dinamica delle religioni in un modo che faciliti la pace, la prosperità e la crescita complessiva della dignità umana. Ed è all’interno di questa contemporaneità del pluralismo cultural-religioso che siamo chiamati a vivere l’essenziale della nostra fede cristiana.
Riguardo al mondo musulmano, considerato nel suo complesso in quanto Umma e nella diversità dei gruppi e popoli che lo costituiscono, la Chiesa ha un ruolo. Tale ruolo è molteplice ma è unico nel suo fondamento teologico: il desiderio di Gesù, una volta innalzato, d’attrarre tutti a sè.
L’esistenza d’una Chiesa Giudeo-Cristiana non significa affatto la mescolatura di elementi giudaici e di elementi cristiani, ma invece la sintesi tra cultura religiosa e comunità di destino “giudaica” e Buona Novella cristiana trasfigurante e purificante.
Il Padre Ricci ed i gesuiti dei Riti Cinesi volevano cooperare con lo Spirito di Dio alla venuta d’una vera Chiesa Cinese, d’una Chiesa Cino-Cristiana che si costruisse sull’opera precedente, preparatoria e prefigurante dello Spirito eterno del Verbo di Dio nel più profondo dell’esperienza cinese dell’Assoluto e della sua saggezza.
Il padre Nobili ed i gesuiti dell’India operarono, ed ancora oggi operano, nella speranza di collaborare con lo Spirito alla nascita d’una Chiesa davvero Indo-Cristiana, dove gandianamente “India” significa qualcosa di molto più profondo, sacro e religioso che una nazione moderna tra le altre.
Tutta la moderna teologia dell’inculturazione riguarda il rinnovarsi della grande visione apostolica d’una Chiesa davvero “una” nel sano pluralismo cultural-religioso connesso ai diversi contesti, alle diverse “nazioni”, alle diverse “comunità di destino” (comprese le “religioni”), alle quali lo Spirito di Cristo sempre ci invia.
Siamo profondamente consci della particolare difficoltà dovuta all’autocoscienza “postcristiana” dell’Islam che nega esplicitamente incarnazione, croce e divinità di Gesù Cristo. Occorre però riconoscere che anche il Buddismo contemporaneo o l’Induismo o il Giudaesimo, pur essendo storicamente precristiani, sono oggi coscientemente postcristiani nell’aver esplicitamente, ed a volte polemicamente, mancato di raccogliere l’annuncio evangelico. La cultura moderna atea, positivista, nichilista ecc. è il più delle volte postreligiosa e postcristiana. La galassia New Age è esplicitamente e spesso pungentemente postcristiana... Eppure la Chiesa è spinta dallo Spirito a raccogliere amorevolmente e coraggiosamente le sfide, in definitiva produttive per coloro che amano Iddio, costituite da dei postcristianesimi che in diversi modi rappresentano delle misteriose richieste di crescita e conversione rivolte dal Verbo di Dio alla sua Sposa.
La Chiesa è sempre inviata a Nazaret perché si ripeta il mistero dell’incarnazione a favore di tutti in un’attitudine di benevolente intelligenza, accoglienza ed assunzione, seppure attraverso la croce purificante, della cultura, anche religiosa, dei contesti in cui è inviata (e la Chiesa è sempre inviata come testimone del Risorto, è sempre apostolica, anche quando è autoctona da millenni!).
Come il Verbo Eterno incarnato è stato capace d’essere così profondamente giudeo da essere davvero l’atteso Messia figlio di Davide, così la Chiesa, nel sempre rinnovato sforzo d’inculturazione della fede, esprime un’attitudine d’amore universale sempre capace di particolarità, specificità ed elezione che hanno fondamento e modello nel cuore di Dio mostratoci in Cristo e nei suoi desideri e metodi dei quali partecipiamo per grazia dello Spirito.
Dunque la Chiesa di Gesù inviata al Mondo Musulmano, all’Umma di Muhammad, sarà, a causa dell’amore di Gesù, sempre capace di meravigliosa e salutare particolarità, una Chiesa Islamo-Cristiana.
Questo è facilitato nel nostro caso dal fatto che, in quanto comunità monastica di Rito Siriaco in Siria, abbiamo con l’Islam tanto in comune. La zona in cui ci troviamo è al confine del grande deserto d’Arabia che, come un mare costellato d’isole, le oasi, si prolunga fino in Yemen. La cultura antica, precristiana e preislamica è sostanzialmente comune anche se nelle due lingue semitiche siriaca ed araba. Il fondo nomade antico e comune di tale cultura è ben descritto nel libro della Genesi ed in particolare nei capitoli dedicati ad Abramo.
Il grande Patriarca è effettivamente sentito come l’antenato morale degli arabi e di tutti gli abitanti della regione.
La Chiesa Siriaca Antiochena si sviluppò presto, nonostante le difficoltà ambientali, tra le tribù arabe limitrofe del deserto e si spinse fino in Arabia ed in Yemen. Un certo modo di leggere e “prolungare” le Sacre Scritture attraverso commenti narrativi orali e la redazione di apocrifi, è tipico del genio semitico di queste regioni.
L’Islam nasce dall’esperienza originalissima del suo Profeta in un contesto cultural religioso complesso (presenza maggioritaria della cultura religiosa precristiana normalmente ed impropriamente definita “pagana”, insieme a presenze minoritarie spesso settarie giudaiche e cristiane con rimanenze propriamente giudaico-cristiane). La vita monastica cristiana, di cui il nostro monastero è esempio e testimone, era presente, apprezzata e valorizzata dall’Islam nascente. La lingua araba che non era estranea a questa regione in epoca preislamica, diventa lingua culturale ed anche spesso liturgica della Chiesa di questa zona e della comunità di questo monastero. Non è sorprendente, ma è commovente ed istruttivo, notare che nella chiesa del monastero abbiamo nell’undicesimo secolo una netta maggioranza di iscrizioni arabe cristiane profondamente “inculturate” nel contesto musulmano (incipit tipicamente coranico, “nel nome di Dio clemente e misericordioso”, vocabolario tipico e data dell’egira).
Le popolazioni cristiane arabe o arabizzate di questa regione costituiscono una comunità di destino unica con la maggioranza arabo-musulmana, tanto da essere coscientemente una sola ed unica realtà nazionale. Le Chiese locali sanno di costituire con l’Islam arabo una sola dinamica e pluralista realtà storico-culturale.
Spesso un acuto sentimento d’essere qui come testimoni di Cristo per i musulmani, molto di più che di fronte ai musulmani, è espresso dai cristiani locali, e più con la vita e l’esempio che con le parole. Cosippure è netta la coscienza di costituire assieme una sola società chiamata a valorizzare i doni ed i tesori di entrambe le comunità religiose.
Certo profonda sofferenza e difficoltà è causata ai cristiani arabi, una generazione dopo l’altra, dall’ ipercoscienza musulmana d’una netta superiorità teologica dell’Islam sul Cristianesimo e di fronte alla quale sta una profonda nostalgia di parte cristiana per un mondo anche politicamente cristiano che riconosca il mistero di Gesù come centrale e finale di tutto il vivere civile.
A volte i cristiani di qui, separati anche fisicamente dalle cristianità occidentali, si sono come chiusi a riccio in un’attitudine autoprotettiva e gelosa delle loro venerande particolarità.
La Comunità monastica di Deir Mar Musa si trova oggi al crocevia di diverse linee di provvidenziale inculturazione. Questo monastero vuole essere al servizio della crescita spirituale della multiforme cristianità orientale, a partire dal suo essere radicato anche archeologicamente nella tradizione siriaco-antiochena nel suo secolare intimo rapporto con la lingua e la cultura araba.
La Comunità monastica è dedita all’accoglienza di pellegrini e turisti in maggioranza giovani che si trovano in una ricerca culturale e spirituale caratterizzata da orizzonti vasti e difficili. Laboratorio di globalizzazione culturale, il Monastero vuole essere un luogo di incontro con Gesù di Nazaret, maestro e salvatore, per un mondo che rischia la deriva nichilista e relativista.
Questa vocazione monastica è caratterizzata da un particolare appello dello Spirito del Signore ad essere seme e fermento d’una Chiesa Islamo-Cristiana nella coscienza che l’Islam non è fenomeno temporaneo né effimero. L’Islam è bensì grande e provvidenziale comunità abramitica e monoteista, nella quale anche il rifiuto coranico del mistero cristologico ha una funzione da interpretare in vista del Regno, e ciò in modo analogo e storicamente collegato al rifiuto d’Israele che l’Apostolo Paolo nella Lettera ai Romani ha interpretato in senso escatologico e salvifico.
Non è qui possibile tentare di esaurire un tema che ha bisogno d’essere sviluppato in modo collegiale dalla riflessione ecclesiale. Non pretendiamo d’avere un’interpretazione teologica cristiana definitiva e complessiva del mistero d’Ismaele, dell’Islam e della profezia muhammadica. Si tratta d’un discernimento dove la vita precede spesso la teoria e dove l’attenzione all’azione dello Spirito di Dio presso l’altro precede ed intercetta le proiezioni preconcette. Si tratta piuttosto di facilitare, innanzitutto nella preghiera e nella pratica dell’ospitalità, un discernimento che sarà davvero cristiano e spirituale solo se profondamente ecclesiale.
La nostra chiesa a Deir Mar Musa sembra una moschea?
Forse si potrebbe dire che le moschee assomigliano alle antiche chiese dell’Oriente. È evidente che l’aver disteso i tappeti sul pavimento ed aver chiesto a tutti di scalzarsi entrando crea un’atmosfera sacra riconoscibile e partecipabile da parte dei nostri beneamati ospiti musulmani. Per i visitatori cristiani è una ripresa di contatto con un’antica tradizione cristiana locale ed allo stesso modo l’occasione di riflettere sul dovere d’un apostolato “inculturato” per un Cristianesimo del dialogo e dell’amicizia più che del confronto e dell’affronto, il quale qui, nella nostra regione, condurrebbe, si dica per inciso, direttamente all’emigrazione permanente ed all’estinzione della comunità cristiana locale.
La nostra lingua liturgica è quella del Corano, è l’Arabo sacralizzato dalla rivelazione dell’Islam ed utilizzato come lingua sacra e liturgica in tutto l’Islam ovunque nel mondo anche ben oltre il mondo cultural-geografico arabo. In questo senso, per analogia, si può parlare d’una “cattolicità musulmana”, cioè d’un’universalità, religiosa e proiettata escatologicamente, basata su un’esperienza di rivelazione nella storia. Proprio in quanto cattolici, e cattolici orientali, siamo in grado di apprezzare l’universalismo islamico nell’ansia ed esigenza d’unire l’umanità in un’unica adorazione all’unico Iddio. Scoprire che la tensione “cattolica” non è nostro monopolio ma che è come iscritta anche in altre tradizioni cultural-religiose, e qui direttamente innestata sulla simbologia biblica, non ci rende gelasi ma, al contrario, fedeli testimoni di quel fondamento cristologico ed apostolico della nostra cattolicità che speriamo costituisca il seme dell’unione finale in Dio di tutto l’umano e di tutto il creato.
La lingua araba è da secoli lingua liturgica della Chiesa di questo Oriente Antiocheno accanto alla lingua greca ed a quella siriaca. L’amore trasformante di Gesù per il Mondo, in tutta la sua plurale ricchezza e multiforme povertà, sarà anche amore particolare per il Mondo Musulmano, gli uomini e le donne dell’Islam nel loro formare una Umma, una nazione cosciente d’essere erede delle benedizioni d’Ismaele e di Agar per i quali intercedette il santo Patriarca Abramo. A questo amore di Gesù ci siamo voluti particolarmente votare, in Arabo, dopo aver notato che è questa l’ultima delle lingue citate nella lista di quelle nelle quali, nel giorno di Pentecoste, miracolosamente, s’udì l’annuncio degli Apostoli. In Arabo proclamiamo Gesù Signore e Salvatore d’ogni persona umana anche nel suo appartenere ad una provvidenziale e particolare comunità cultural-religiosa. Per intercessione di Maria, in Arabo, speriamo un giorno d’unirci, al cospetto del Cristo giudice misericordioso e re di pace, al coro degli Angeli e dei Santi insieme ai salvati dell’Umma di Muhammad.
È ora il momento di toccare brevemente la questione della preghiera in comune.
Nell’articolo della rivista Jesus si accenna a tre livelli. Il primo è quello dell’intercessione in comune e dello dhikr. Si tratta del vasto ambito della preghiera non propriamente liturgica,dello spontaneo rivolgere a Dio le nostre invocazioni, implorazioni e lodi. Potrà svolgersi prima o dopo un pasto in comune. Potrà farsi durante una conferenza od essere la conclusione d’un incontro. Il luogo sarà vario come varie sono le occasioni. Se è in chiesa che ci si è riuniti, potrà essere in chiesa, ma sempre evitando il rischio di scandalizzare i più semplici.
Il secondo livello è quello della reciproca e pubblica presenza alla preghiera liturgica cristiana o musulmana.
A Deir Mar Musa siamo molto chiari nell’indicare ai nostri ospiti musulmani che non è il caso che comunichino alle specie eucaristiche quando, ospiti peraltro graditissimi, assistono alla Santa Messa. Sottolineiamo infatti che il comunicare al Corpo ed al Sangue di Cristo significa e manifesta una fede piena nella Sua divinità, incarnazione, croce e resurrezione e che così facendo sarebbero islamicamente ritenuti apostati.
Cosippure a volte noi cristiani assistiamo con devoto rispetto alla preghiera musulmana ma evitando una partecipazione che, da parte musulmana, sarebbe facilmente intesa come un nostro abbandono della fede cristiana.
(La questione delicata sarebbe quella del caso d’un’autentica e matura fede cristiana in una persona che, nata musulmana, non si sentisse spinta dallo Spirito ad uscire dalla Comunità musulmana, ma al contrario desiderasse restarvi in umile, discreta ed il più volte tacita testimonianza dell’amore di Cristo. Tuttavia, per motivi di trasparenza sociale e di coerenza, noi permettiamo una pratica esterna e pubblica dei Sacramenti solo a coloro che professano esplicitamente e pubblicamente la loro fede cristiana.)
È importante, per noi discepoli di Gesù inseriti con realistica umiltà in un determinato complesso socio-religioso, di tener sempre presente che la Chiesa, nel suo mistero, trascende la forma storica concreta e delimitata della sua contingente presenza storica ma, al contempo, non esiste disincarnata ed astratta fuori d’ogni contesto.
Non pretendiamo dunque né d’essere la “Chiesa primitiva” né quella dei “Santi dell’Ultimo Giorno”. Siamo Chiesa e comunità monastica nell’oggi, locale ed universale assieme, incamminati nel grande pellegrinaggio con Pietro e gli Apostoli.
Nel nostro essere Chiesa Islamo –Cristiana desideriamo che la nostra preghiera sia un umile implorazione a Dio perché mandi il suo Spirito attraverso il suo Cristo ad incamminare questo nostro Mondo Musulmano verso il suo Regno.
A volte, spesso fuori d’ogni tempo liturgico, ma sappiamo che è sempre in virtù del santo ed eterno Sacrificio Eucaristico, lo Spirito viene e parla, tocca i cuori ed inumidisce gli occhi, costruisce ineffabili istanti di comunione realizzando in modo indicibile le reciproche speranze e facendo intravvedere un comune salvifico orizzonte. È questo il terzo livello della preghiera in comune. Esso non è codificabile ma si può chiedere e preparare nella pratica dell’ospitalità di Abramo e per l’intercessione di Maria di Nazaret, dei Profeti e dei Santi.
In conclusione non credo che sia errato parlare d’un “monastero islamo-cristiano” a patto che sia ben chiaro che è nel senso teologico d’un monastero della Chiesa Islamo-Cristiana e non nel senso d’un’eventuale comunità monastica dove vi sarebbero stabilmente insieme musulmani e cristiani. Effettivamente è già accaduto per il passato che qualcuno ci abbia frainteso ma non mi sembra che sia il caso dell’articolo di Jesus il quale, complessivamente, riflette bene la nostra vita ed il nostro ideale.
Certo c’è qui l’occasione di un discernimento ulteriore e di una più vasta apertura di dialogo nella Chiesa. Resta intera la nostra volontà d’essere integralmente e fedelmente cristiani cattolici, più che disponibili a partecipare al grande discernimento della Chiesa riguardo alla sua missione d’evangelizzazione e di dialogo nel mondo di oggi, in vista della venuta del Regno di Dio.
p Paolo Dall’Oglio
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