Traduzione dall’arabo
La festa di Pasqua ritorna dopo un anno di indescrivibili sofferenze, per la maggioranza di noi imprevedibili e inimmaginabili. Purtroppo, ciò che abbiamo scritto nella stessa occasione un anno fa’ si applica ancora alla situazione attuale del nostro triste paese. Avevamo espresso allora la solidarietà con le vittime del conflitto e la nostra partecipazione alle aspettative di coloro che speravano in una profonda riforma della Siria senza cadere nella logica della violenza, e temevamo l’esplosione d’una guerra civile e la perdita dell’unità nazionale. Il malore è accaduto e temiamo il peggio.
Torna la primavera e il Misericordioso ci fa la grazia di rimanere testimoni della vocazione d’ogni siriano, del suo destino divino, di vivere il buon vicinato, la concordia spirituale, la reciproca stima religiosa, la partecipazione a un’unica civiltà, la solidarietà sociale e l’unità nel bene e nel male. Naturalmente viviamo come tutti nell’angoscia, restiamo solidali con le nostre famiglie che subiscono gli effetti del conflitto e soffriamo la perdita della speranza da parte di tanti e specialmente la nostra gioventù generosa. Chiediamo per gli uccisi misericordia e ci dispiace enormemente per l’umano in tanti modi sfigurato dei nostri concittadini, per mano di chi non ha vergogna di sporcarsi del sangue dei suoi fratelli e delle sue sorelle e perfino dei bimbi.
In occasione di questa festa, ci confrontiamo con la tentazione di rifugiarci nella celebrazione religiosa e nei suoi profondi significati dogmatici, involandoci per la finestra dei simboli, fuggendo questa casa demolita, per librarci negli spazi consolanti dell’immaginazione.
Se solo Gesù Cristo, il Figlio di Maria, non avesse calpestato la terra della nostra patria … avremmo potuto sognare d’una salvezza in provenienza da un paese lontano! Se solo il suo traditore non fosse stato un uomo nato sulla terra dei profeti assetati della venuta del suo Messia … ci sarebbe riuscito più facile addossare tutta la colpa sugli stranieri e gli estranei! Se solo coloro che complottarono il suo omicidio non fossero stati sacerdoti del Tempio di Salomone, nella nobile Gerusalemme-al-Quds, insieme con l’occupante coloniale oppressore romano e il re stipendiato, Erode … avremmo potuto giustificare i nostri prelati, i nostri sceicchi e i nostri maggiorenti! Se solo i suoi discepoli non l’avessero lasciato solo quando ebbero paura della folla che gridava pretendendolo crocifisso! A sviarla erano stati coloro incaricati di guidarla a riconoscere la verità, a impegnarsi per la giustizia, e a offrire un culto che non si compie che nella misericordia.
È vero, lo accompagnarono alcuni dei più prossimi fino all’ultimo istante, quando fu appeso al legno fuori dalle porte di Gerusalemme e fu scritto sulla croce “Gesù nazareno re dei giudei”, in tre lingue, perché tutti capissero. È vero, sua madre rimase con lui fino alla fine ricevendolo sulle ginocchia sfigurato per le orribili torture.
Dove fuggire quando celebriamo in questa festa la stessa scena che ogni giorno attenta all’innocenza dei nostri bambini: violenza ignorante e brutta, e della quale s’utilizzano perfino le immagini nei media per attizzare il conflitto.
Il popolo palestinese, qualche giorno fa’, ha celebrato l’annuale memoria del “Giorno della Terra”, della terra persa ingiustamente. Mentre la festa, nella quale celebrò Gesù l’offerta di se stesso come vittima, era in origine la festa del passaggio del popolo di Mosè dai campi di schiavitù a una terra consacrata a vivere davanti a Dio in un culto fatto d’impegno per la giustizia e l’equità. Pasqua significa allora l’attesa d’un giorno nel quale tutto il popolo giunge alla salvezza attraverso la conoscenza del Misericordioso, un giorno nel quale si dice della Città Santa, come ha cantato il re Davide nel salmo, “ogni uomo è nato in essa” (sal 87). Speriamo di vedere tutta la gente di questa regione, l’oppressore come l’oppresso, allorché saranno riuniti dalla paternità del Compassionevole in un solo popolo, godere dei beni della terra nel pluralismo della concordia fraterna.
Alcuni sono andati a dire che i suoi discepoli hanno rubato il suo corpo spinti da malizia e fino a oggi è difficile per molti cristiani e non cristiani accettare che il Cristo di Dio è stato sfigurato e ha patito l’esecuzione. Tuttavia molte persone pie vedono oggi il Salvatore in tutti coloro che si sacrificano, tanto da non esser più la loro figura quella d’un essere umano, spinti da amore, non da odio.
Cercando la riconciliazione di figli e figlie, sperimentiamo il Cristo vivente, risorto in noi dai morti, che perdona i nostri peccati ed è presente efficace, anche attraverso la nostra e la vostra preghiera d’intercessione, in questo mondo di povera gente.
Il nostro popolo è diviso. I suoi figli combattono tra loro e non è facile raggiungere l’armonia delle opinioni finanche all’interno della comunità monastica. Ringraziamo sentitamente tutti coloro che hanno partecipato delle sofferenze del nostro popolo e sono stati solidali con il nostro perseguire la riforma. La nostra speranza è di poter ricordare questa crisi, alla fine, come un’occasione per scoprire il sentiero dell’accettazione dell’altro, del rispetto della sua coscienza attraverso le differenze, tanto nel monastero come in famiglia o in patria e più lontano. Ringraziamo tutti coloro che hanno radunato dei siriani affinché dialogassero in molti luoghi, all’estero, per inviarci dei messaggi di speranza riguardo alla possibilità della mutua comprensione e di curare le ferite dei cuori.
Ringraziamo anche tutti coloro che ci hanno aiutato economicamente (ci dispiace di non aver saputo a volte esprimere la nostra gratitudine a ciascuno; vi preghiamo d’informarci di questi casi; infatti la situazione delle nostre comunicazioni non è stata sempre facile).
Il monastero s’è svuotato dei visitatori e dei turisti in modo quasi totale da un anno. Tuttavia, in questi giorni, ci dà gioia il ritorno d’un buon numero di famiglie locali per il pic-nic del Venerdì, esprimendo così il loro desiderio di pace.
Abbiamo scelto di rimanere qui nel monastero nonostante la situazione contingente, avendolo spontaneamente considerato nostro dovere. Dopo un inverno freddo davvero, celebriamo la Resurrezione tra i fiori d’una timida primavera. C’impegniamo, mettendo la nostra fiducia in Dio, ad assicurare la nostra presenza a Deir Mar Musa nella regione di Nebek che resta relativamente sicura e che è meta d’una parte degli sfollati dalle città in cui avvengono più scontri. La situazione è analoga al monastero di Mar Elian a Qaryatayn.
Abbiamo continuato lungo tutto quest’anno a realizzare i nostri programmi di studio e di edizione e i nostri progetti di sviluppo. Pochi son coloro che hanno potuto venire al monastero, tuttavia mai come adesso abbiamo sperimentato quanto il complesso simbolico del monastero influisca su un gran numero di persone in Siria, nella regione e nel mondo. Molti considerano il monastero come un modello riconosciuto di servizio della pace civile e della fratellanza tra i credenti figli di Abramo e questo ci spinge a cercare di far di più.
Dal profondo del cuore e ovunque voi siate vi auguriamo di gioire nello splendore della luce di questa tomba vuota.
La Comunità del Khalil