Volevo scrivere questo piccolo testo per la domenica delle palme, però in questo periodo qui in Siria non è mica facile concentrarsi. Siamo in un periodo di speranze e, certo, anche di paure. Dove ci porta la storia? Sono sicuro che siamo all'inizio di un gran movimento d’emancipazione del mondo arabo, islamico e quello che abbiamo nominato con arroganza il “terzo mondo”. Siamo anche in un momento di cambiamento importante nell’esercizio della responsabilità internazionale. Questo richiede una revisione critica e una correzione delle nostre convinzioni e di decisioni politiche. Attenzione, una revisione onesta non può giocarsi sulle proprie e altrui paure, ma deve orientarsi ai fondamenti e alla missione su qui una data società intende costruirsi. Possiamo imparare questo dal tentativo dei Tunisini e degli Egiziani.
Stamattina il mio amico Muhammad mi ha portato un rosario dalla Mecca. Sua zia è stata lì per la ‘umra, il piccolo pellegrinaggio, e l'ha portato fra altri regali. Ho sentito subito la sua “carica” di preghiera quando l'ho toccato. Questo fatto e la situazione siriana mi hanno dato da riflettere sulla maledizione del fico. È un testo che mi ha sempre affascinato. Specialmente la versione di S. Marco:
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. E gli disse: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti». E i discepoli l'udirono. (Mc 10,12-14)
Perché Gesù lo maledice? S. Matteo parla della maledizione ma non nomina la stagione, mentre né S. Luca, né S. Giovanni ci raccontano questa storia. Forse il testo di S. Matteo avrà qualche cosa a che fare con la purificazione del Tempio: Gesù trova il Tempio, la casa del Padre (cf. Lc 2,49), impuro, pieno di commercianti, non pronto come dimora degna di Dio. Ma perché Luca e Giovanni tacciono? Tacciono veramente? Vediamo in S. Matteo e S. Marco che non ci si deve attendere sempre lo stesso ordine dei testi. In Matteo la maledizione del fico avviene dopo la purificazione al tempio, in Marco prima. Forse si deve allargare la ricerca? Forse dobbiamo allontanarci un po' dalla Città Santa fino a Gerico? Lì troviamo Zaccheo, in S. Luca, come frutto raccolto da Gesù sul sicomoro (cf. Lc 19,1 ff). E in S. Giovanni il fico è menzionato riguardo a Natanaèle l'Israelita «in cui non c'è falsità» (Giov 1,47).
Il fico è la prima pianta nominata nella Bibbia (cf. Gen 3,7). Nel Libro della Genesi diventa denuncia della disobbedienza d’Adamo ed Eva e segno della relazione ferita fra loro. Perciò è spesso legato al giudizio universale, specialmente nei profeti (cf. fra altre Ab 3,17; Hag 2,19). Però nella Sacra Scrittura si trovano anche tanti esempi dove il fico è legato allo stato paradisiaco:
«Non temete, animali della campagna, perchè i pascoli del deserto hanno germogliato, perché gli alberi producono i frutti, la vite e il fico danno il loro vigore.» (Gioele 2,22);
un segno del tempo compiuto:
«Egli sarà arbitro tra molti popoli e pronunzierà sentenza fra numerose nazioni; dalle loro spade forgeranno vomeri, dalle loro lame, falci. Nessuna nazione alzerà la spada contro un'altra nazione e non impareranno più l'arte della guerra. Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e più nessuno li spaventerà, poiché la bocca del Signore degli eserciti ha parlato!» (Mi 4,3-4);
un momento della relazione ristabilita:
«In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico» (cf. Zac 3,10).
Di fatto sono questi i due temi d’ogni profezia religiosa, il giudizio universale e il mondo che verrà. Perciò la profezia non è chiusa e non può essere chiusa fino alla seconda venuta di Gesù Cristo. Non importa che un profeta appaia prima o dopo una certa data. Il vero o il falso profeta si riconosce dalla coerenza e dalla dinamica della sua profezia rispetto all'ultimo giorno.
S. Giovanni ci dice un po' di più sulla maledizione. L’incontro con Natanaèle è prima delle nozze di Cana cui segue la purificazione del tempio (cf. Giov 2). È una sequenza di tre testi densi che ci parlano dell'amore di Gesù per il Credente, della trasformazione dalla cosa materiale (acqua) in una materia spirituale (vino) - sempre nel corpo (le anfore) - e della vigilanza contro la corruzione nell'ambito della religione visibile. Sì, non parla qui del tempio a Gerusalemme, ma della Chiesa. Dove gli altri Evangelisti hanno situato il loro racconto della purificazione del tempio, S. Giovanni ci narra dei Greci che vogliono parlare con Gesù. Quando lo Spirito Santo attira i cuori degli stranieri verso il Figlio è il momento in cui inizia l'attrazione della croce. Il Figlio deve morire come il chicco di grano per dare tanto frutto (cf. Giov 12,24).
La maledizione del fico, se vista alla luce di tutta la Bibbia, è un richiamo alla nostra incapacità di essere guariti senza Gesù. Il fico ha segnalato la rottura della relazione dell'uomo con Dio. Il fico maledetto di fronte a Gerusalemme rappresenta l'uomo che non affronta il grande sforzo di leggere i segni dei tempi e non ne chiede a Dio la comprensione. È l'uomo che non segue l'insegnamento dei profeti di tutti tempi, di tutte le nazioni e di tutte le religioni, che non veglia sulla la corruzione della sua società, ne veglia sulla purezza della gerarchia della sua religione e ferisce la dignità dello straniero e del suo prossimo (cf. Gen 19 Sodoma e Gomorra).
Misteriosamente è proprio quest'uomo di cui si prende cura Gesù quando nega se stesso e assume la tragedia dell'umanità. Perché chi pende dal palo è maledetto (cf. Deu 21,23 e Gal 3,13). Nella maledizione del fico il profeta Gesù profetizza della nuova fertilità, la nuova vita dell'uomo per il quale il Figlio di Dio è riscatto.