Amici nel Signore
Mi ha telefonato Abu Mahmud, un vecchio amico. In salotto ha appeso un ricamo con l'immagine della Natività a Betlemme. Nei suoi sermoni alla moschea citava tanti versetti evangelici quanti coranici, fino a provocare qualche reazione. Benché ormai claudicante, è sempre stato fedele ai nostri incontri di dialogo. Tornato dall'Arabia Saudita dove lavora il figlio maggiore, ha voluto riunire gli amici del mercoledì invitando anche me. Si comincia verso le otto e facilmente si fanno le ore piccole, sgranocchiando grissini al sesamo e carote fresche. Tra i presenti, quasi tutti pensionati, vicini di casa fin dall'infanzia, musulmani pii ma d'opinioni diverse, molti hanno viaggiato in Occidente. Abu Mahmud era professore d'arabo nel liceo locale. Quella sera c'era anche un suo vecchio collega, ora imam alla moschea del quartiere: Shaykh Ali, memoria di ferro e polemica arguta, ha preso di petto il "politeismo" cristiano.
Non avevo voglia d'entrare in polemica. La mia anima era tutta bagnata di devozione per quegli amici accoglienti. Mi son detto: "Non rispondere sarebbe scorretto verso gli amici e verso la fede. Bisognerà soprattutto cercare di non farla lunga". Mi sono espresso più o meno così: "Ci conosciamo da più di vent'anni, e che amo e ammiro l'Islam e i musulmani lo avete capito. Con ragione vi chiedete perché e fino a che punto io resti cristiano. Vedi, caro Shaykh Ali, io penso, ma lo pensa anche la Chiesa, che nel vostro essere fedeli musulmani c'è un mistero, un compito provvidenziale, un ruolo. Anche quei versetti coranici che separano l'Islam dalla Chiesa, e intendo soprattutto la negazione della figliolanza divina di Gesù, il rifiuto della Trinità, l'oscuro contestare la croce, se interpretati dall'amore che tutto copre e tutto giustifica, diventano una specie di muro di cinta che protegge l'Islam dall'assimilazione "crociata"! Però, se vuoi capire perché io resti discepolo del Nazareno, o piuttosto mi sforzi di diventarlo, e come possa nello stesso istante adorare Iddio, l'Unico, allora ti chiedo: "Credi tu che Allah abbia un volto?". "Sì - mi dirai - ed è la contemplazione del suo volto, come promesso dal nobile Corano, tutto ciò che desideriamo". Eppure, se io ti chiedo: "Ma Dio ha davvero un volto?". Tu mi dirai: "In un certo senso ce l'ha e in un certo senso non ce l'ha". È lo stesso per le mani di Dio. Non è forse l'orante tra le due mani del Misericordioso? Sì, certo, ma anche no! E allora, per il discepolo di Gesù, il figlio di Maria, Egli è Dio che mi incontra, che mi parla, che mi guarisce, che mi salva. Non voglio entrare in dettagli teologici, vorrei solo che tu potessi intuire come sia possibile credere nell'Unico Iddio ed essere cristiano".
Vi fu chi disse che certo dev’esserci una saggezza divina in questo nostro appartenere a diverse comunità di fede. Aggiunsi che, viste dalla Cina o dall'India, le nostre comunità abramitiche formano un'unità che spesso ci sfugge. Ma ciò che più conta è l’atmosfera ricca di buon senso che ha caratterizzato la serata, la capacità di Abu Mahmud di creare un clima sano di parrocchia aperta a tutti, eppure con un'identità ben definita, anche dai suoi limiti. Scrive san Paolo che i frutti dello Spirito sono pace, gioia, speranza, fiducia, insomma un certo ottimismo. Ne avevo il cuore pieno risalendo al monastero ben oltre mezzanotte.
Questo Articolo era pubblicato nella edizione giugno-luglio 2007 nella revista popoli
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