Dialogo di Resurrezione
Padre Paolo Dall'Oglio
Per chi non lo sapesse, la comunità monastica di Deir Mar Musa è formata sia da monaci che da monache. La vita comune e l’ospitalità offerta a tutti formano una stessa comunione di vita: in chiesa, a tavola, nel lavoro. Ci hanno chiesto diverse volte che cosa ciò abbia a che fare con la vocazione particolare del monastero per il dialogo islamo-cristiano. La relazione uomo-donna - rispondo sempre - è quella in cui s’imparano grammatica e sintassi del dialogo, di ogni dialogo autentico.
Nella nostra regola si legge: “I monaci e le monache formano una sola comunità, sulla base dell’icona evangelica della comunità fraterna dei discepoli e delle discepole che seguono il Signore sulle strade della Galilea. La storia della spiritualità della Chiesa dimostra come sia fruttuosa la collaborazione tra uomini e donne consacrati per il servizio del Regno dei Cieli e per l’abrogazione della maledizione antica. [Tale collaborazione] costituisce l’annuncio consolante d’una rinnovata umanità, a condizione che sia costruita sull’umiltà, il realismo, la conoscenza di sé, l’ascesi affettiva, l’apertura all’obbedienza nella direzione spirituale. [...] La comunità monastica si organizza sulla base del principio di uguaglianza tra uomini e donne nella Chiesa, con considerazione e rispetto per i carismi e le particolarità”.
Gli ospiti musulmani hanno sempre mostrato un grande rispetto per questa nostra vita in comune. Anzi, questa via ci permette di avvicinarci alle famiglie nel modo più naturale e spontaneo. Le monache vanno in visita alle signore e incontrano maestre musulmane e le loro discepole. I monaci fanno lo stesso con gli uomini musulmani. E poi, eccoli che vengono a trovarci con le loro famiglie, partecipano a incontri e seminari, invitano tutta la comunità a render loro visita. In un certo senso, la vita monastica è vista dai musulmani più spirituali quasi come un privilegio cristiano: ci vedono come una casa dove proprio la castità consacrata consente di superare gli steccati familiari e permette l’apertura universale.
Allora, pensando alla Pasqua, mi torna in mente l’icona orientale dove Gesù risorto scende nell’inferno della corruzione umana e soccorre Adamo ed Eva prendendoli per mano, tirandoli fuori e portandoli con sé. Uno dei novizi, un giovane siriano d’estrazione rurale, aveva grande difficoltà ad accettare la parità istituzionale tra uomini e donne in comunità. Mi ha fatto pensare all’enorme cantiere, all’irrisolta problematica, anche ecclesiale, suscitata dalla rivoluzione antropologica del secolo scorso. Mi sono reso conto quanto coloniale e globalizzante possa essere percepita la dottrina antropologica occidentale contemporanea: tanto dai musulmani quanto dai cristiani orientali. Spero che esista una via d’amore paziente e inventiva, né occidentale né orientale. In fondo, il Cristo della resurrezione non realizza tanto un “restauro” dell’umanità originaria, quanto costituisce una divina proposta per un’umanizzazione ancora futura, da testimoniare possibilmente in umiltà. Buona Pasqua!
Nella nostra regola si legge: “I monaci e le monache formano una sola comunità, sulla base dell’icona evangelica della comunità fraterna dei discepoli e delle discepole che seguono il Signore sulle strade della Galilea. La storia della spiritualità della Chiesa dimostra come sia fruttuosa la collaborazione tra uomini e donne consacrati per il servizio del Regno dei Cieli e per l’abrogazione della maledizione antica. [Tale collaborazione] costituisce l’annuncio consolante d’una rinnovata umanità, a condizione che sia costruita sull’umiltà, il realismo, la conoscenza di sé, l’ascesi affettiva, l’apertura all’obbedienza nella direzione spirituale. [...] La comunità monastica si organizza sulla base del principio di uguaglianza tra uomini e donne nella Chiesa, con considerazione e rispetto per i carismi e le particolarità”.
Gli ospiti musulmani hanno sempre mostrato un grande rispetto per questa nostra vita in comune. Anzi, questa via ci permette di avvicinarci alle famiglie nel modo più naturale e spontaneo. Le monache vanno in visita alle signore e incontrano maestre musulmane e le loro discepole. I monaci fanno lo stesso con gli uomini musulmani. E poi, eccoli che vengono a trovarci con le loro famiglie, partecipano a incontri e seminari, invitano tutta la comunità a render loro visita. In un certo senso, la vita monastica è vista dai musulmani più spirituali quasi come un privilegio cristiano: ci vedono come una casa dove proprio la castità consacrata consente di superare gli steccati familiari e permette l’apertura universale.
Allora, pensando alla Pasqua, mi torna in mente l’icona orientale dove Gesù risorto scende nell’inferno della corruzione umana e soccorre Adamo ed Eva prendendoli per mano, tirandoli fuori e portandoli con sé. Uno dei novizi, un giovane siriano d’estrazione rurale, aveva grande difficoltà ad accettare la parità istituzionale tra uomini e donne in comunità. Mi ha fatto pensare all’enorme cantiere, all’irrisolta problematica, anche ecclesiale, suscitata dalla rivoluzione antropologica del secolo scorso. Mi sono reso conto quanto coloniale e globalizzante possa essere percepita la dottrina antropologica occidentale contemporanea: tanto dai musulmani quanto dai cristiani orientali. Spero che esista una via d’amore paziente e inventiva, né occidentale né orientale. In fondo, il Cristo della resurrezione non realizza tanto un “restauro” dell’umanità originaria, quanto costituisce una divina proposta per un’umanizzazione ancora futura, da testimoniare possibilmente in umiltà. Buona Pasqua!
Questo Articolo era pubblicato nella edizione di Aprile 2007 nella revista popoli
Italian
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