Considerazioni arabe sull'11 Settembre 2001
Considerazioni arabe sull'11 Settembre 2001
Deir Mar Musa, Siria
Settembre 2002
Il prossimo undici settembre saremo in preghiera in modo particolare nel monastero sui monti siriani che guardano il vasto mare del deserto arabo, e penseremo con solidale affetto e cordiale rammarico alle tante vittime dell'odio armato lungo tutto quest'anno terribile. Pregheremo per i cuori di chi è stato travolto dalla logica della violenza e della vendetta fino a morire uccidendo, come Sansone nel racconto biblico dei Giudici. Poi pregheremo, ce lo insegna S. Paolo, per i nostri governanti globali, i potenti, sia eletti che ereditari od occulti, chiedendo che volenti o nolenti operino dialetticamente in vista d'un Bene Comune che mostrano spesso di non saper neppure immaginare ma che in definitiva ci attira tutti, attraverso la scelta morale relativa e l'impegno contingente di ciascuno, assolutamente, verso Cieli e Terra nuovi.
Il mio punto di vista, lo premetto, è quello di chi ha fatto una scelta di radicale solidarietà con il mondo musulmano e la vive inserito da più di vent'anni nella Chiesa araba del Medio Oriente. Premetto pure che è estremamente doloroso, per chi è come me stato educato nel rispetto religioso e la considerazione culturale verso popolo e la religione ebraici e nella memoria compunta dell'Olocausto, il doversi trovare costretto a considerazioni critiche verso organizzazioni legate in un modo od un altro a quel popolo significativo e rilevante per la mia fede. Ed è penoso dover rivolgere delle critiche alla nazione americana che ha partecipato alla liberazione dell'Europa e del mondo dal nazi-fascismo...
Siamo abituati, qui in Oriente, a pensare agli Stati Uniti d'America come ad un nemico invidiato. E certamente è invidiato, tanto che troppi nostri giovani vorrebbero emigrarvi a qualunque costo. Purtroppo la Nazione statunitense ci è anche realmente nemica perché si comporta da nemico del Popolo Palestinese, e quindi, che lo voglia o no, di tutti gli arabi e di tutti i musulmani. Il motivo è l'inossidabile, sacralizzata ed incondizionata alleanza militare, strategica e culturale con lo Stato d'Israele, il quale rappresenta ai nostri occhi la quint'essenza, la punta di lancia, d'uno schieramento occidentale anti-arabo ed anti-musulmano. Questo non significa che, educati dalla Bibbia e dal Corano, nel nome d'Abramo nostro padre comune, noi non si sia in grado di concepire ed accettare il ritorno dei figli d'Israele nella Terra di Canaan; ma, attendendo assieme, ebrei, cristiani e musulmani, un Messia pacifico e giusto, Cristo giudice e riconciliatore, non riusciamo spesso a vedere dal nostro punto di vista, nel Sionismo aggressivo e razzista, altro che una specie d'anticristo (in arabo "Daggiàl") e nell'Occidente all'americana una sorta di "bestia" apocalittica.
Va aggiunto che molti governanti corrotti e liberticidi sono stati considerati a lungo dei "moderati" esemplari dai loro alleati economici oltreatlantici ed europei. I nostri dittatori regionali, coronati e non, ci appaiono il più delle volte come delle pedine nelle mani dei superpotenti occidentali, anche quando paludati di retorica antiamericana.
Gli Stati Uniti hanno inoltre giocato col fuoco per fini strategici e commerciali, cercando di strumentalizzare le derive musulmane più ideologizzate, estreme e pericolose. Hanno cercato di forzare così a proprio vantaggio, le crisi geopolitiche più acute, come in Afganistan, nei Balcani, in Cecenia... in chiave anti-sovietica prima ed anti-russa poi, oltre che in concorrenza con gli interessi europei.
I paesi europei non sono stati da meno nella pratica delle alleanze sporche e delle tolleranze interessate. Basti citare l'esempio algerino e quello, più recente, tunisino!
Bisogna ricordare che, da un punto di vista "orientale", è chiaro fino ad accecare quanto, oltre i discorsi moraleggianti e benpensanti dei media occidentali, i governi ed i servizi segreti, specie americani ed israeliani, portino un'oggettiva responsabilità nell'aver creato le condizioni di possibilità della tragedia dell'11 settembre.
È utile sottolineare qui la forte opposizione tra la percezione dell'uomo della strada occidentale e quella dell'uomo della strada afroasiatico. Per il primo non è facile immaginare le connivenze nell'ombra e gli equivoci contatti dei servizi segreti occidentali con i movimenti più pericolosi e con le matrici socio-economiche dei terrorismi. Gli è difficile pensare a quel mondo di commercianti corrotti, di doppiogiochisti, d'arrivisti falliti, di personalità sdoppiate, di religiosi farneticanti, d'impostori ricattati e di mafiosi che fa da sempre da terreno fertile all'azione occulta e cangiante, spregiudicata e criminale dei vari servizi di sicurezza nazionale... Come può l'occidentale, così fiero delle sue invidiabili istituzioni democratiche e delle sue nobili radici culturali, così sicuro della sua superiorità morale, quasi razziale, accettare l'idea che pagando le tasse finanzia pure occulti e pericolosi giochi geopolitici? Gli è difficile rendersi conto di quanto sia manipolato, a causa della più o meno conscia cecità dalla quale è affetto a motivo degli interessi corporativi a cui è attaccato e della salvaguardia dei privilegi economici di cui è fruitore... È bello lasciarsi cullare dalla manipolazione mediatica la quale sa bene, per consustanzialità irriflessa, solleticare ora i facili moralismi ed ora la difesa irata di sacrosanti diritti!
Per noi afroasiatici, la doppiezza occidentale è talmente evidente da fornirci un modello culturale. In quanto culture politicamente subalterne, siamo sempre pronti a giustificare le nostre arretratezze istituzionali con le stridenti contraddizioni dell'Occidente... Anzi, per resistere all'imperialismo, ci sentiamo costretti a sacrificare i nostri diritti umani e politici per opporci uniti all'aggressione "totale" nord-atlantica; o almeno di questo tentano di convincerci i nostri governanti, per motivi legati, è ovvio, a giochi di equilibri locali ed interessi clanici e familiari, oltre che alle effettive motivazioni ideologiche. Il guaio è che la minaccia globalizzante occidentale non è una fantasia ma un fatto, dimostrato ai nostri occhi al cubo dall'alleanza "nazionicida" israelo-statunitense...
Si vorrebbe da noi una subalternità convinta, servile, grata, psicologica e totale... "moderata"; ma non all'Occidente dei diritti e degli ideali; quella è la facciata elettorale e massmediale ad uso interno; no, no, si vuole da noi una totale resa alla logica imperiale globale, per diventare feudi delle multinazionali protette dall'ombrello atomico e dall'interventismo militarista anglo-israelo-statunitense.
Dal nostro punto di vista, è difficile non credere ai racconti antisemiti di terribili ed occulte riunioni di anziani e potentissimi maestri cristiani e giudaici di tendenza fondamentalista e millenarista, vissuti in una mentalità di guerra fredda ed ancora convinti che solo l'affermazione ad ogni costo del "modello occidentale" può fornire una speranza messianica infrastorica al mondo. Probabilmente queste riunioni non ci sono, perché dovrebbero mettere assieme correnti culturali, convergenti sul piano strategico contingente ma troppo diversificate storicamente, come il sionismo più liberale e quello più fondamentalista, il protestantesimo più letteralista ed il cattolicesimo più tradizionalista, i massoni più cinici, gli operatori finanziari più aggressivi ed i generali più mistici e stellari. Forse queste riunioni non ci sono, nel senso che non le organizza nessuno, ma per noi qui sono un fatto comunque dimostrato da effetti geopolitici strategici coerenti.
È chiaro che la coscienza nazionale araba e, molto di più, la realtà della solidarietà islamica mondiale, nonostante le tremende contraddizioni intestine, costituiscono forse l'opposizione più impressionante, organica ed alternativa al modello occidentale, nei confronti del quale si pongono in una logica concorrenziale, tuttavia all'interno d'un'ottica e d'una prospettiva messianiche in definitiva comuni. Le grandi culture asiatiche indiana e cinese costituiscono l'altro vero polo... Sicché a guardar bene dal punto di vista dell'idea della storia e del futuro si può parlare d'un bipolarismo: il polo abramitico giudeo-cristiano-islamico e quello himalayano cino-indiano. La relazione problematica tra musulmani ed occidentali è in definitiva un "family problem".
L'11 settembre ha suscitato reazioni diverse, stratificate e spesso contraddittorie. Il primo livello, davvero globale, è quello della paura totale, come davanti al fungo dell'atomica; terrore apocalittico: la fine è possibile e probabile, l'America è vulnerabile, la collettività mondiale è ricattabile da forze occulte, il terrorismo può colpire il mondo al cuore. Prima ancora di sapere di quale terrorismo si trattasse (e noi qui abbiamo sperato che fosse quello delle derive demenziali delle ultradestre americane) si è cristallizzata la coscienza acutissima che la trasparenza sociale politica, anche a livello individuale, sia ormai una condizione irrinunciabile per la sicurezza globale. Da oggi in poi chiunque nasconde, occulta e trama crea le condizioni per altri undici settembre. I servizi segreti non rendono servizio che a chi sguazza nel buio! L'occulto di stato e l'occulto terroristico sono oggettivamente conniventi. Angoscia tremenda, ma anche maturazione d'una coscienza universale: da questa parte si va al baratro!
A questo sentimento, generalmente e statisticamente prevalente anche qui da noi (nonostante la manipolazione massmediale volta a dimostrare il contrario, utilizzando le danze di gioia delle frange palestinesi più disperate) s'è subito unito, nella nostra parte del mondo, il sentimento patologico ma reale che l'America si fosse inflitta un colossale autogol. Autogol in due sensi: il primo ed il più logico è che le commistioni e connivenze tra servizi segreti e gruppi terroristici avessero prodotto il disastro sfuggendo di mano ai grandi manovratori geopolitici; il secondo senso, ancor più tragico e folle, è che l'undici settembre fosse stato studiato a tavolino per dare un immane pretesto all'espansionismo ed al totalitarismo occidentali. È incredibile quanto sia stata immediata, convinta e popolare l'idea che quegli attentati fossero stati realizzati da degli emissari manovrati dai servizi segreti israelo-statunitensi. Qui tutti hanno voluto credere al mito degli impiegati ebrei avvisati il giorno prima di non recarsi al lavoro. Immediata è stata la percezione che l'undici settembre si sarebbe soprattutto risolto in un immenso pretesto per attaccare e distruggere la diversità islamica, la sola rimasta a contrastare l'Occidente dopo la caduta del Muro di Berlino. Accanto a queste percezioni si è manifestato in molti una specie di malcelato orgoglio e di incoerente e patologica ammirazione per Bin Laden (in una forma analoga all'ammirazione per Saddam nel 1991) perché aveva ferito al cuore il Gigante nemico. Questa paradossale percezione andava di pari passo con la convinzione diffusa che "Bin Laden" non avrebbe potuto organizzare quegli attacchi senza una, almeno indiretta, connivenza con i servizi segreti occidentali. Ora tale connivenza è di fatto nota per quanto riguarda la lotta degli islamisti nei confronti dei sovietici in Afganistan ed in altre parti del mondo come in Bosnia. Sia i Talibani che gli islamisti internazionali operanti in Afganistan erano dotati delle più sofisticate armi americane... Quando tale connivenza si sia degradata ed interrotta non è possibile saperlo esattamente. È probabile che l'undici settembre l'abbia sotterrata per sempre aprendo la fase della guerra totale al terrorismo. È risaputo che alcune organizzazioni islamiche di propaganda ed assistenza, anche saudite, abbiano di fatto costituito da intermediari finanziari di reclutamento per le organizzazioni armate operanti sul terreno. Tutto questo gioco è andato in crisi definitivamente l'undici settembre. Occorre sperare che ciò vada alla fine a vantaggio della riforma dell'universo politico islamista costretto a rivedere metodi, valori e strategie, rinunciando alla logica dello scontro frontale armato ed imboccando risolutamente la via dell'evoluzione interna e del confronto preferibilmente non violento.
Si inserisce qui necessariamente il discorso sul conflitto palestinese-israeliano che è anche conflitto arabo-israeliano ed islamico-israeliano, e dunque islamico-occidentale. La scelta disperata degli attentati suicidi (qui chiamati attentati-martirio) ha offerto allo Stato ebraico una giustificazione perfetta al sabotaggio definitivo del processo di Oslo. In effetti la radicalizzazione di obiettivi e metodi, sia da parte islamista palestinese che da parte israeliana, è speculare e va a vantaggio politicamente, se non territorialmente, tanto delle destre israeliane che rivogliono tutta la "Terra" biblica, quanto del radicalismo islamico che rivuole tutta la Palestina e persegue tutto il potere in Palestina. Forse ci sarà una fragile tregua tra nemici ma non una pace tra "bravi". I nemici di Sadat e di Rabin s'accordano di fatto a spartirsi terra, potere e gestione della tensione. Il simbolo è il muro di Sharon: il futuro è favorevole ad una nuova e lunga guerra fredda di natura culturale e religiosa all'interno d'un mondo unificato solo dal sistema capitalistico globale...
D'altro canto l'undici settembre è utilizzato dalle destre occidentali per proporre il proseguimento di un progetto esplicitamente imperialista; dove l'egemonia americana, nel contesto d'un mondo "unipolare" si muove in una logica di difesa e promozione degli interessi nazionali statunitensi su scala globale. I simboli di questo processo sono l'avversione americana agli accordi vincolanti internazionali sia relativi all'ambiente che al sistema giudiziario mondiale. Sicché l'America, che avrebbe i mezzi per proporre globalmente i principi della sua costituzione democratica, diventa il nemico della democratizzazione mondiale! Eppure, proprio l'undici settembre, facendo esplodere la contraddizione americana e portando il pericolo all'interno della fortezza occidentale, potrebbe costituire il detonatore d'un'inversione di tendenza. E sembra di poter cogliere qualche segno, speriamo non solo propagandistico, di questo passaggio dall'ottica esclusivamente finanziaria e militare ad una più universale responsabilità democratica proprio nella diversa attitudine nell'affrontare il "dopo" che segue le grandi operazioni di chirurgia asiatica. Non si riesce però ancora ad elaborare delle strategie efficaci diverse da quelle dell'interventismo militare...
Per il mondo musulmano, il chiudersi in una prospettiva di arcaicità e arretratezza culturale e in una logica di scontro frontale con l'Occidente, utilizzandone tuttavia la tecnologia, risulta essere una strategia perdente e letteralmente suicidaria.
Per l'Occidente il restare sordo alla protesta del Terzo Mondo, e particolarmente di quello musulmano, è esporsi ad una serie infinita di undici settembre.
La tragica popolarità, qui da noi, degli attentati suicidi in Palestina-Israele, mostra assieme il livello raggiunto di disperazione, unito alla drammatica determinazione di rifiutare e contrastare con qualsiasi mezzo l'oppressione "imperialista" e "crociata".
Che fare di fronte al muro di Sharon ed all'eccidio di Janin?
Che fare di fronte al proliferare di cellule islamiste, e non solo islamiste, e di organizzazioni terroriste disparate e diffuse in tutto il mondo e probabilmente in grado presto o tardi di organizzare attacchi suicidi nucleari?
Che fare di fronte ai dittatori alla Saddam e alla Musharraf ed ai regimi alla coreana del nord ed alla saudita?
Chi libererà i popoli oppressi dai regimi liberticidi?
L'atteso liberatore potrà esser forse il torturatore di Guantanamo o il boia delle sedie elettriche? Potrà essere liberatore chi è schiavo del proprio interesse materiale ed immediato, e succube del proprio provincialismo culturale fino a muoversi in una logica di regime su scala mondiale, abusando del diritto di veto all'ONU come d'un'imprevisibile arma impropria?
Come scegliere tra Saddam e la CIA? Come pensare d'essere al sicuro sotto l'ombrello nucleare dei criminali di guerra israeliani?
Come pensare ad una politica di democrazia, sviluppo e distribuzione equa delle acque, qui nel Vicino Oriente, all'ombra dei generali di Ankara, inossidabili alleati dell'America e splendidi allievi di Machiavelli? Ci salverà forse l'arte diplomatica arrugginita ed opportunista del rimorchio europeo? O ci salveranno i rigurgiti nazionalisti che ovunque si manifestano come volano di irrisolvibili inimicizie?
Nell'affrontare il lungo medioevo che ci attende e cercando di non cedere al fatalistico sentimento d'impotenza che ci attanaglia, occorrerà riscoprire la passione per la politica: molto più per la politica locale che per quella nazionale, e per la politica mondiale che per quella internazionale; saremo cittadini regionali ed universali nella prospettiva d'un testardo perseguire il Bene Comune. La nazione, statunitense, irachena, iraniana o israeliana che sia, significa ormai poco in prospettiva. Va incoraggiata una logica di democrazia globale multipolare, fin d'ora operando in un'ottica di rivendicazione sindacale senza confini, in rete ed a tutti i livelli. Non serve a nulla demonizzare il mondo musulmano né è utile mostrificare l'America e gli americani e neppure serve ri-criminalizzare in blocco Ebrei ed Israeliani. Pluralismo e rispetto delle differenze si coniugheranno con la conquista di punti fermi costituzionali globali di cui la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo è solo un primo e promettente passo.
Il soggetto politico islamico non sarà ignorabile né sottovalutabile. Il metodo del dialogo, unito alla testimonianza non-violenta, ma coerente ed esigente, delle proprie convinzioni deve favorire e consentire delle evoluzioni finora inimmaginabili.
Paradossalmente Sansone, il disperato amante ebreo della palestinese Dalila, nel morire, uccidendo per vendetta un mare di nemici, è figura di quel Cristo che morendo salva per amore e riconcilia i suoi carnefici. La lezione del testamento del priore trappista dell'Atlante algerino, che s'augura d'entrare in cielo assieme al suo assassino, è ancora da apprendere!
Oppure siamo buoni solo ad insegnare il perdono alle vittime latino-americane del colonialismo cattolico ed ai figli degli schiavi neri e dei pellerossa oltreatlantici?!
L'Islam, il mondo islamico, è stato vittima del colonialismo europeo, dall'Indonesia al Marocco, dalla Cecenia al Sudan, fino a ben oltre la metà del ventesimo secolo. Poi c'è stato il comunismo europeo, l'imperialismo occidentale e la ferita tremenda della perdita di Gerusalemme, Al-Quds, la Santa... Il contenzioso islamico verso il "mondo cristiano" è immenso.
Le difficoltà, le incoerenze, l'attrazione per le soluzioni violente ed autoritarie, l'arretratezza delle istituzioni, l'assenza di partecipazione democratica e la mancanza di rispetto di troppi umani diritti, specie nei confronti della donna e delle minoranze, sono, nel mondo musulmano, dolorosamente incommensurabili. L'errore occidentale è di scambiare la vittima con il carnefice e di continuare a far pagare ai popoli i crimini dei loro governanti corrotti e clienti degli agenti finanziari globali.
Si vuole onorare il sangue delle vittime dell'undici settembre?
Si vuol vincere la guerra contro il terrorismo?
Si dovrà sottomettere di nuovo la finanza alla politica! E riproporre la politica come arte della partecipazione e non della manipolazione. Occorre operare nell'interesse di tutti a facilitare l'evoluzione culturale e civile in senso democratico dei soggetti politici reali senza preclusioni a priori... bisognerà lavorare all'evoluzione delle destre religiose israeliane come a quella dei movimenti islamisti palestinesi... il futuro non è nelle nostre mani ma l'evoluzione dipende da noi!
Occorre che i crimini contro l'umanità siano perseguiti ovunque senza eccezioni e privilegi. Occorre che la giustizia sia diversa dalla vendetta della pena di morte. Occorre ricordarsi che i soldati di leva iracheni sono vittime in definitiva innocenti anche se vestiti da militari (l'obiezione di coscienza non è generalmente possibile agli individui che di fronte a situazioni concrete di richiesta di partecipazione attiva a crimini immediatamente fattuali, e non può che esser rara in una generazione abituata dalla nascita all'interiorizzazione della censura e della retorica di regime e che ne conosce la violenza).
È difficile giudicare della coscienza d'un aviatore nei cieli della popolosa Hiroscima al momento di buttare l'atomica. Ma si deve provare a capire affinché non riaccada.
È arduo comprendere il cuore d'un giovane arabo musulmano che, dopo essersi purificato ed aver pregato, si fa kamikaze per uccidere un gran numero di innocenti nel campo nemico. Lui non chiede né perdono né comprensione, convinto com'è d'andare in Paradiso. Ma a noi tutti converrà riflettere ed operare perché ciò non riaccada.
Paolo Dall'Oglio per "Il Popolo
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